name='description'/> Parle Serie Blog: febbraio 2013

28 feb 2013

Edizione del 23/02/2013-"Copertina"

Politica




Io l'ho vista cosi. 
Pagelle elettorali:


Berlusconi: 8
Capace di sfruttare pienamente tutte le debolezze del paese, sia a livello politico che culturale. 
Il suo è un populismo bieco, irriverente ed irrispettoso delle istituzioni. Spesso agisce ai limiti della legge (vedi lettera IMU) ma ha capito che tanto, nessuno gli metterà i bastoni fra le ruote in questo paese. 
E ancora una volta, è sua la vittoria morale; forse ancor più che di Grillo!?


Bersani: 4
Il voto non è tanto per lui, quanto per tutto quello che c'è intorno a lui.

 La sinistra sembra aver abbandonato la gente lasciando la rabbia del popolo nelle mani di due comici. Troppi volti vecchi, troppi snob (vedi la Finocchiaro e le bidelle) e incapacità di comprendere il momento. Troppa arroganza e quasi totale incapacità di dare voce a chi ha sempre visto la sinistra come salvezza del popolo. La massa può anche essere stupida ma è lei che dà la maggioranza, non l'Intelligencija.

Grillo: voto 9
Praticamente dal nulla (e sotto consiglio di Fassino) ha creato un partito che rappresenta 1 italiano su 4. 
Un partito di cui non sappiamo le capacità dei singoli elementi, vicino al popolo incazzato;
 un partito anche un pò bugiardo, perché lo stesso Grillo sapeva che votare per lui non avrebbe significato la realizzazione del suo programma. Ottimo per rompere le palle ma non sappiamo quanto per governare. Per molti un'alternativa al "non voto" più che al voto a destra o sinistra.

Ingroia: 3
Con Di Pietro alle spalle vincere non era facile. Ha sbagliato tutto. 
Sbagliato l'atteggiamento da "superiore" che lasciava trasparire in Tv, sbagliata la campagna elettorale, sbagliati gli uomini intorno a lui, sbagliati i litigi con Bersani, sbagliato il nome della lista, sbagliati i punti focali su cui si è incentrato il suo pensiero, sbagliata la reazione post risultato elettorale.

Giannino: 2
Un movimento nato con le migliori intenzioni, dotato di alcuni illustri menti del mondo accademico/economico italiano,
 rovinato per le menzogne ridicole del suo leader.
 Non avrebbe preso più di Ingroia, forse, ma non avrebbe quantomeno perso la faccia come il più vile ladro.


Monti: 3,5

Anche qui, l'alleanza con Fini e Casini non deve aver aiutato. Ma la cosa che ha infastidito è che il suo scendere in campo, nella testa di chi lo vedeva (a mio viso in maniera errata) 
come un volto serio, capace di ridare credibilità e slancio al paese, ha dato l'impressione di essere piuttosto un modo per guardarsi anche lui i cazzi suoi. Delusione sotto ogni punto di vista ma non per me. Per me pessima conferma.

Silvio Pizzica

Musica


A PROPOSITO DI CORDE

Ogni musicista che si rispetti ama il proprio strumento. Lo adora. Si prende cura di lui.
Lo porta con sé ovunque, lo tratta come un suo pari e non può fare a meno di questo rapporto simbiotico, della catarsi e delle sensazioni ottenute suonando. La passione per la musica ci rinchiude per ore in una stanza, eppure ci fa viaggiare fra luoghi remoti e dimensioni introspettive della nostra mente. La musica ci fa riflettere, sorridere e talvolta ci fa anche guarire.
“La musica è l'arte dei suoni”
Come si può quindi far dell'arte se ci dimentichiamo di pulire ogni volta i nostri pennelli?
Qualcuno dirà che è possibile. Addirittura si dice che più il nostro pennello è incrostato più l'opera che verrà fuori dalla tela sarà autentica, viva.
Sicuramente io non mi intendo di arte, ma penso che si dovrebbe trattare nel migliore dei modi chi ci offre ogni giorno doni così preziosi.
A tal proposito vorrei buttar giù due righe sul cambio corde della chitarra elettrica.
Un’operazione che “da manuale” andrebbe eseguita periodicamente in concomitanza con pulizia e settaggio, al fine di allungare la vita e limitare l'usura del nostro caro strumento.

Prima di incominciare è opportuno valutare quale muta di corde si andrà ad installare.
Tralasciando la scelta della casa costruttrice, la lega metallica della corda, il tipo di nucleo, è fondamentale decidere lo spessore da impiegare.
La scalatura delle corde deve essere consona all'accordatura da noi utilizzata e al diapason dello strumento.
Le corde, infatti, sviluppano una tensione fra ponte e capotasto, direttamente proporzionale alla nota riprodotta suonata ”a vuoto”.
Suonando in accordature più basse rispetto allo standard si può notare come la tensione cali drasticamente, tanto da impedirne quasi l'esecuzione.
A mio parere, per lo standard (mi la re sol si mi) è giusto impiegare sia le 0.09-42 sia le 0.10-46, anche se le prime risultano troppo “leggere” (come se si giocasse in modalità principiante).
Scendendo, conviene aumentare questi spessori. Basta un decimo di pollice in più per nota:

RE 0.11-0.50 o 0.52
DO 0.12-0.56
SI 0.13-0.58

Un discorso a parte va fatto per il “dropped tuning” dove si abbassa di un tono  il MI grave.
Sempre tenendo conto della tensione sul manico, è conveniente usare mute di corde sbilanciate, dove la progressione degli spessori non è lineare, per cui si hanno corde gravi più spesse e corde acute più sottili.
Giunti finalmente all'atto vero e proprio del cambio corde, ci si chiede quale sia il metodo migliore di operare. Fortunatamente, a differenza delle nostre scarpe che possiamo allacciare in 1000 modi differenti, nella chitarra c'è poca scelta ma vale la pena chiedere a chi ha più esperienza di noi, al fine di non ritrovarci sul palco letteralmente con dei doppi nodi sulla paletta (fidatevi, ne ho vista di gente “professionista” maltrattare i propri strumenti).
Ricordate che se una corda è montata correttamente, manterrà l'accordatura.
In rete un’ottima fonte di sapere sul tema della liuteria è http://www.guitarmigi.it/, una guida che illustra i cambi corde su ogni tipo di chitarra elettrica, con dimostrazioni corredate di foto su ogni passaggio. Il sito, inoltre fornisce informazioni su settaggio, pulizia, accordatura e consigli di varia natura in campo chitarristico.
Altre fonti più generiche, ma comunque degne di nota sono:

e il caro vecchio tubo http://www.youtube.com/

Insomma trattate bene la vostra chitarra... “o come sempre Suonare e suonare.”

22 feb 2013

Attualità





Lavoro e diritti al tempo della crisi

di Edoardo Puglielli

Crisi e disoccupazione sono parte integrante del normale funzionamento della società di mercato: «non sono un problema per il capitalismo ma il modo attraverso cui, periodicamente, il capitalismo risolve i suoi problemi; non nascono da imperfezioni del mercato, ma sono i più potenti e perfetti prodotti del mercato stesso» [V. Giacché, DeriveApprodi 2010]. Oltre che fisiologico, in assenza di un deciso cambio di rotta il fenomeno della disoccupazione rischia di diventare anche irreversibile. Se cala la produzione scende l’occupazione; ma anche quando la produzione riprende la disoccupazione non viene affatto riassorbita. Anzi, la produzione può riprendere solo a patto di: 1) non riassorbire complessivamente la disoccupazione prodotta; 2) erodere e cancellare diritti; 3) delocalizzare gli investimenti produttivi dove conviene, cioè dove il lavoro costa meno ed il conflitto sociale è facilmente sedabile. A ben vedere, una relativa ripresa occupazionale avviene solo attraverso ‘politiche di risanamento’ mirate a: aumentare ritmi e carichi di lavoro a parità di salario, flessibilizzare e precarizzare i rapporti di lavoro, ridurre garanzie e facilitare i licenziamenti (vedi l’attacco all’articolo 18, al CCNL, etc.); investire sul capitale costante e restringere il numero della base occupata (al fine di indebolire il potere contrattuale del lavoro vivo); ridurre le spese per sicurezza e salute (vedi il caso Ilva); esportare le produzioni a ridotta composizione organica dove il lavoro costa meno (vedi le politiche Fiat); sfruttare servilmente il lavoro migrante. Ne discende che pur in presenza di momentanei aumenti degli indici percentuali della produzione ad essi non si accompagna una crescita del numero degli occupati; a crescere, al contrario, è solo l’uso di contratti precari: basti pensare che dal 2004 al 2012 il numero dei lavoratori precari appartenenti alla fascia di età 34-64 anni è aumentato in Italia del 43,8%. Le cifre parlano chiaro. Se nell’area euro il numero dei disoccupati corrisponde a 18milioni di unità (2milioni in più nel corso di un anno), in Italia, nel secondo trimestre 2012 il tasso di disoccupazione rilevato dall’Istat è pari a 10,5% (il più alto dal secondo trimestre 1999). In 12 mesi, in particolar modo, il numero delle persone senza lavoro è aumentato del 33,6% (attestandosi così a 2,76milioni di unità). Il tasso di disoccupazione giovanile è invece passato dal 2007 al 2011 dal 24 al 32%: i giovani che lavorano, inoltre, sono «confinati in lavori temporanei, di bassa produttività o altri tipi di lavori che non promettono opportunità migliori» (Rapporto ILO, maggio 2012). Nel 2007, su un totale di 900.000 giovani disoccupati, il 56,7% era concentrato al mezzogiorno (510.000), il 26,6% al nord (240.000) e il 16,8% al centro (151.000). Nel 2011, il totale di giovani disoccupati è pari a 1.128.000, con un incremento del 51,2% al nord (per un totale di 363mila unità), del 39,1% al centro (per un totale di 210mila unità) e dell’8,8% al sud (per un totale di 555mila unità, il 49,2% del totale). Nel mezzogiorno, in particolar modo, la disoccupazione giovanile ha raggiunto numeri drammatici per le donne: nel secondo trimestre 2012 il tasso di occupazione per la fascia d’età 15-29 anni è pari al 16,9%. Per la fascia 18-29 anni è del 20,7%, vale a dire che 8 giovani donne su 10 non hanno un lavoro (al nord la quota delle occupate tra i 18-29 anni è del 45,7%; la media nazionale è pari al 34%). In Abruzzo, il tasso di disoccupazione registrato dall’Istat è del 10.9% (la media nazionale è del 10,5%; nelle regioni del centro dell’8,9%), tre punti percentuali in più nell’arco di un anno. Vale a dire che si è passati da 48mila disoccupati nel 2011 a 73mila persone senza lavoro nel secondo trimestre del 2012. Contestualmente, in 12 mesi nella regione il numero degli occupati è sceso da 509mila a 507mila unità (367mila dipendenti, 140mila autonomi), facendo così crescere l’indebitamento delle famiglie. Guardando alla Valle Peligna, recenti inchieste( zac7.it) forniscono i seguenti dati: gli iscritti alle liste di disoccupazione e inoccupazione nei 24 Comuni della Valle Peligna, Valle Subequana e Valle del Sagittario sono ad oggi 9.706, cui vanno aggiunti 821 cassa integrati di cui solo 105 hanno la possibilità di essere accompagnati alla pensione, mentre il restante 87% è destinato a rimanere senza ammortizzatori sociali e senza pensione. Di questi, 2.858 sono compresi tra i 15 e i 30 anni; 2.238 tra i 31 e i 39 anni; 2.274 tra i 40 e i 50 anni; 1.632 tra i 51 e i 60 anni e 710 oltre i 61 anni. Complessivamente, su una popolazione di 53mila abitanti, i disoccupati nel territorio sono più di 10.000 mentre i giovani laureati che non trovano lavoro sono quasi il 60%.
In un paesaggio del genere, con i privati che a causa della recessione investono sempre meno, la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio – mettendo ‘fuorilegge’ il deficit spending – di certo non aiuta. Anzi. Impedisce un deciso intervento pubblico proprio in quei settori che, invece, richiedono un forte investimento, quali: messa in sicurezza del territorio e dei centri storici, opere di riqualificazione e di manutenzione dell’esistente, infrastrutture utili, scuola, ricerca, sanità, cultura, etc. Con le modifiche all’articolo 81 della Costituzione investire in questi settori è diventato praticamente impossibile. Allo stesso modo, sarà sempre meno facile garantire alcuni dei diritti previsti nella Costituzione (assistenza sanitaria, servizi alla persona, scuola, welfare locale), essendo la loro attuazione subordinata ai dettami dell’articolo 81. Il rischio del dogma dell’immutabilità della cosiddetta linea-Monti e dell’infallibilità dell’ideologia neoliberista (che tiene insieme destra e ‘centro-sinistra’) è, a ben vedere, oltre a quello di non porre un freno alla disoccupazione crescente, anche la progressiva trasformazione dei diritti sociali e del sistema pubblico di welfare in merce: chi ‘vorrà’ quei diritti e servizi, per capirci, se li dovrà pagare.

Attualità


“I CAVETTARI”

Ogni primo venerdì di marzo, come consuetudine, si fa “cavetta”... insomma si marina la scuola e ci si reca in posti diversi, ma il primo per eccellenza resta il nostro Monte San Cosimo. Da generazioni studenti di Pratola, Sulmona e paesi limitrofi si incontrano per salire insieme sul monte e trascorrere una giornata di spensieratezza, lontana dai ritmi quotidiani. L'Associazione Idea Progetto da sei anni ha pensato di far vivere ai tanti ragazzi che si recano sù due condizioni fondamentali per l'uomo : la VITA e la PACE, realizzando il “Parco degli ulivi”dove ogni anno inseriamo nuove piante di ulivo proprio in segno di PACE e di crescita.
Ci auguriamo anche quest'anno di poter stare insieme e condividere nel migliore dei modi questa giornata. Siamo in attesa di conferme perché l'aggiunta di ulteriori antenne ha aumentato notevolmente le onde elettromagnetiche le quali, come sappiamo, causano notevoli danni alla salute. Con la speranza di portare avanti il nostro obiettivo confidiamo affinché quest'area possa presto essere messa a disposizione della comunità civile.

ASSOCIAZIONE IDEA PROGETTO

Politica


L'OPINIONE DI...JOHN KEATING

Totalmente inspiegabile è come si possa non riconoscere l'incapacità, non una volta, non due, non tre, ma quattro volte. Gravissimo sarebbe non farlo volontariamente, per ripicca contro chi non si vuole che prenda il posto occupato tante volte dall'incapace, anzi dagli incapaci. Come spesso accade la verità sta nel mezzo. Questa volta però, il mal comune non è mezzo gaudio. Purtroppo come diceva Cicerone, <<Caratteristica del fesso è vedere le colpe degli altri e scordare la propria>>. Staremo a vedere ciò che accadrà. Comunque vada, è ancora troppa la fiducia che si dà a taluni personaggi.

Politica


Omelia preelettorale

Giunti al giorno prima delle elezioni, sapete che vi dico? Che le liste e i programmi (o le barzellette) potete guardarveli da soli.
Per questo mese voglio farvi una paternale, obbligandovi ad accettare per assurdo, che io ne abbia il diritto.
Presumibilmente, a dar retta alle sensazioni, penso che alcuni di voi non andranno a votare, mentre altri decideranno all’ultimo. Ma voglio rivolgermi a tutti.
Siamo subito giunti alla prima chiave del discorso: VOTARE! Il famoso diritto/dovere che tutti hanno, in qualità di cittadini. Eccola! Anche l'altra parola chiave, grondante di significati è arrivata senza attesa : CITTADINI.
Su di essa sono talmente tante le cose che si potrebbero dire, che molte gocciolano a terra, grondano appunto e ce ne dimentichiamo, lasciandole lì ad asciugarsi della loro importanza. Eppure, una goccia non la farò cadere e cercherò di farvene dono.
Certo, non vi tartasserò con la solita storia di quelli morti (tanto di rispetto) per questo diritto. Anche perché, la maggior parte di voi non li ha conosciuti e non sa chi siano. Sfido io che ve ne fregherebbe qualcosa...
Come prima cosa, vi ricorderò semplicemente che SIETE VOI, qualunque cosa accada, I PADRONI DELLO STATO. VOI siete lo Stato.
Non votare sarebbe come ''regalare'' una proprietà per uso capione. Per questo andate alle urne e appena usciti, ricordatevi bene chi avete scelto. 
Se vi fanno incazzare, sentitevi liberi di esserlo. Però non in piazza o peggio ancora sui social network. 
Invece andate da loro a rammentargli qual è il loro mandato. Nessuno vi potrà dire che non potete farlo. E soprattutto non delegate!
Essere eletti non investe nessuno di un titolo nobiliare. Non hanno diritto a riverenze e omaggi oltre ogni ragionevole modo. Il politico non differisce di molto, da quello che vi schizza l'acqua, passando con l'auto sulla pozzanghera. Tanto più se non è ligio ai propri doveri.
Mettendo la croce, nonostante la sacralità del termine, non state chiedendo e non chiederete la grazia a qualche santo. Avreste solo fatto USO di una vostra inviolabile prerogativa. 
A questo punto però, è opportuno fermarsi un attimo e riflettere bene su cosa sia l'uso e cosa sia l'abuso. Credo che siate d'accordo con me, sul fatto che quest'ultimo non porti mai a qualcosa di buono. Sarete altrettanto d'accordo che, da un punto di vista opportunistico, un piacere spesso se si fa è perché si spera di riceverlo poi in cambio. Il classico ''do ut des''. 
Se siete pronti ad andare avanti, è giunto il momento che vi facciate due domande!
Per prima cosa chiedetevi se un voto sia considerabile come un favore. Dopo domandatevi se considerarlo tale sia commettere un abuso.
Senza che vi si arrovelli il cervello, vi darò subito le risposte giuste: alla prima domanda è NO e alla seconda è Sì. NO perché un voto non è una transazione, un affare, uno scambio di merci. Un voto è dare fiducia a qualcuno e non ridargliela se la disillude. Non prenderlo per ciò che è e cercarne tornaconti personali, Sì, è commettere un abuso. Un abuso di ciò che un diritto ci concede.
Lasciare da parte questi semplici principi, alla base di ogni paese civile, ha avuto come effetto che dalle istituzioni, i centri del potere si spostassero nei partiti e quel male sfiancante che ha nome PARTITOCRAZIA ha consumato il Bel Paese. Come conseguenza, CORRUZIONE e CLIENTELISMO hanno segnato l'armonioso volto dell'Italia. E sempre più, la finanza la ha asservita.
Avrei potuto dare la colpa, come fanno tutti, ai politici. Io voglio farvi fare un ulteriore passo invece: voglio che tutti si assumano le proprie responsabilità!
Si è giunti alla situazione attuale, perché MOLTI hanno delegato totalmente le proprie responsabilità civiche agli eletti. MOLTI ALTRI hanno voluto anche un tornaconto per questa delega. QUASI NESSUNO ha vigilato su quello che i politici facevano. Ora TUTTI si lamentano, come se il sistema funzionasse male solo da due anni. 
Eh no, cari amici, così è troppo facile!
Sarà anche una visione incantata la mia, ma alla base di una società rinnovata, non può che esserci il sogno che essa sia giusta e a misura di tutti. Ma affinché il sogno diventi realtà, è indispensabile che la maggior parte di noi non chieda soltanto ma si impegni per il cambiamento. Quindi, non è importante chi votiate, ma che lo facciate e che lo facciate con coscienza civica.
Dunque, sedetevi. Fate un bel respiro e riflettete su tutto ciò. 
Rassegnatevi al fatto che un buon padrone (ricordate? i padroni dello stato...) ha anche dei doveri, oltre ai diritti. Dopodiché domani e ogni volta che si deve, andate a votare. Poi però non aspettatevi che qualcuno vi cali la soluzione dall'alto e fate sentire sempre la vostra voce. Se avete delle idee, non abbiate timore a dirle; male che va ve le ruberanno, ma se sono giuste e ci conviene, che ci frega. Tuttavia, e questo ficcatevelo bene in testa, la cosa più importante, il fondamento cardine su cui deve costruirsi una nuova Italia è che non vendiate mai la vostra dignità a nessuno.


Piergiuseppe Liberatore

"Esteri"


La differenziata a Raiano

Ho accettato con piacere l’invito a raccontare quello che ultimamente è successo a Raiano con i cambiamenti nella raccolta domiciliare, perché queste cose dimostrano quanto è importante il coinvolgimento del paese nelle scelte di un’amministrazione locale, in particolare per quei servizi come la raccolta differenziata che richiedono la partecipazione attiva dei cittadini.
Prima però voglio ricordare che il Comune di Raiano è stato tra i pochi enti locali della Valle Peligna ad ottenere il finanziamento regionale per realizzare la raccolta domiciliare porta a porta (insieme a Pratola, Pettorano e Sulmona).  Ed è stato anche il primo, insieme a Pettorano, ad attuare il nuovo sistema di raccolta: era il mese di ottobre del 2009 e l’amministrazione comunale era quella precedente. Insomma, eravamo nella Valle Peligna il paese all’avanguardia per quanto riguarda la raccolta differenziata!
Poi ci sono state le elezioni comunali, la maggioranza è cambiata, e da allora c’è stata soltanto ordinaria amministrazione. Nel frattempo anche gli altri comuni sono partiti con il porta a porta, eccetto Sulmona, maglia nera del territorio, che lo ha fatto solo da alcuni mesi e solo per il centro storico.
Tornando a Raiano, siamo alla fine dell’anno passato, tra Natale e Capodanno, con l’amministrazione comunale che ha distribuito i calendari con le indicazioni della raccolta domiciliare per il 2013.
Con sorpresa abbiamo notato che non si trattava del solito calendario, essendo state accorpate le zone, cambiati i giorni di raccolta, aumentato l’impegno richiesto ai cittadini (adesso si conferisce un solo rifiuto per volta, tutti i giorni lavorativi della settimana), le utenze commerciali sono state assimilate a quelle domestiche. Tutto questo senza nessuna discussione preventiva, senza nessuna spiegazione sulle ragioni che hanno motivato i cambiamenti.
Per questi motivi, raccogliendo le proteste e l’indignazione di molti cittadini, abbiamo presentato un’interrogazione consiliare con “dieci domande al Sindaco di Raiano”.
Con il documento, oltre a quanto già accennato, abbiamo richiamato l’attenzione sul  disservizio causato a quei cittadini che non avevano ricevuto il calendario, costretti a chiedere ad altri quale rifiuto  preparare per il giorno successivo.
Abbiamo denunciato che alcuni cittadini avevano ricevuto le fotocopie del calendario: anche questa figuraccia poteva essere evitata se l’amministrazione si fosse mossa con un minimo di anticipo.
Abbiamo riscontrato che “il prontuario del giusto riciclo”, riportato su ogni calendario, era sbagliato. Infatti, è indicato di conferire i piatti e bicchieri di plastica nel rifiuto indifferenziato: il giusto riciclo sbagliato, sembra una barzelletta ma è tutto vero, si tratta del massimo che potevano fare per confondere le idee alla gente, proprio da chi invece dovrebbe chiarirle, ricordando periodicamente le buone prassi.
La discussione dell’interrogazione che c’è stata in consiglio comunale però non ha portato a niente,  il Sindaco ha fornito solo giustificazioni di facciata,  arrivando persino ad sostenere che  “non si ravvedono disservizi” e che sul nuovo servizio “ci sono state considerazioni positive” da parte dei cittadini.
Conoscendo il Sindaco non ci aspettavamo che chiedesse scusa, per aver stravolto le abitudini dei cittadini e peggiorato il servizio per un risparmio risibile, ma non potevamo neanche immaginare che arrivasse persino a negare l’evidenza.
Per questo, in consiglio comunale ci siamo dichiarati insoddisfatti delle risposte fornite: chi amministra un paese non può permettersi di prendere in giro la gente.
Purtroppo, le nostre rimostranze verso quest’amministrazione comunale pasticciona ed indolente sono confermate dai dati:  ad oggi sono diversi i comuni della Valle Peligna che possono vantare una percentuale di raccolta differenziata più alta di quella di  Raiano, nonostante abbiano iniziato il porta a porta in un periodo successivo.
Come cittadini di Raiano, non siamo per niente orgogliosi di questi risultati.

Il capogruppo di minoranza al Comune di Raiano, Pierpaolo Arquilla.

"Esteri"



CHI RAPPRESENTERA’ LA VALLE PELIGNA?

“Non ci rappresenta nessuno!”, Uno dei cori più sentiti nelle manifestazioni di piazza degli ultimi anni, segno di una forte disaffezione dei cittadini verso la politica. Un coro che potrebbe essere importato in Valle Peligna ma per un altro motivo.
Da quando, il 21 dicembre 2005, l’allora Governo Berlusconi cambiò legge elettorale, i nostri parlamentari non sono più espressione diretta del territorio. Con la precedente legge, la Penisola era divisa in collegi uninominali che esprimevano parlamentari direttamente riconducibili ad un’area del Paese. Oggi i rappresentanti di Camera e Senato sono slegati da questo rapporto territoriale e rappresentano più in generale la regione. Essendo le liste “bloccate”, perché non si sceglie più il candidato ma si esprime solo il voto per il partito, la formazione delle liste è tutta espressione dei rapporti di forza presenti all’interno dei partiti a livello regionale. Accade così che territori più popolosi, come la costa, e territori forti istituzionalmente, come l’aquilano, riescono ad esprimere i propri candidati nei primi posti delle liste, quindi in posizione eleggibile, a discapito di territori meno popolati o economicamente svantaggiati.
Se a questo aggiungiamo l’incapacità di certe formazioni politiche di fare quadrato attorno a candidati del territorio, ecco che lo scenario che si preannuncia ha un che di catastrofico.
Alle prossime elezioni politiche del 24 e 25 febbraio la Valle Peligna avrà solo undici candidati a rappresentare il territorio. L’unico in posizione di elezione “sicura” è il popolese Antonio Castricone, segretario provinciale del PD pescarese, primo nelle consultazioni primarie nella provincia di Pescara. Posizione rischiosa per la parlamentare uscente Paola Pelino che è terza in lista al Senato per il PDL. Altra posizione di rilievo ma difficilmente eleggibile è quella dell’ex primario di Otorinolaringoiatria del “Mazzini” di Teramo Carlo Ciufelli, candidato con Rivoluzione Civile dell’ex magistrato Ingroia. Due candidati nelle liste di Sel, alla Camera il raianese Giovanni Salutari e al Senato l’avvocato Vincenza Giannantonio, anche loro in posizione non eleggibile.
Nelle liste di Rialzati Abruzzo è candidato il consigliere comunale sulmonese Cristian La Civita mentre nelle liste di Fratelli d’Italia la consigliera comunale di Pacentro Rita Di Nello.
Due candidati nelle liste di Grande Sud: Aldo Di Bacco e Domenico Spagnuolo, attuale sindaco di Roccacasale, rispettivamente al Senato e alla Camera. Infine nelle liste di Futuro e Libertà sarà candidata Mariantonietta Salvati mentre nelle liste di Casa Pound ci sarà Alberto di Giandomenico, portavoce sulmonese del movimento dell’ultradestra.
Chiunque vinca le prossime elezioni politiche, il territorio vedrà diminuire il numero dei propri rappresentanti, la passata legislatura ne figuravano tre: Paola Pelino, Maurizio Scelli e Sabatino Aracu. Nella prossima legislatura il territorio potrebbe averne due in caso di vittoria del centrosinistra alla Camera e del centrodestra al Senato, ipotesi molto difficile da realizzarsi visti anche gli ultimi sondaggi che davano la coalizione guidata dall’ex Premier Silvio Berlusconi, indietro di dieci punti percentuali. Va sottolineato che il Cavaliere ci ha abituato già altre volte ad improbabili rimonte ma in questo caso i margini di manovra sembra siano ristretti.
Dopo due legislature senza consiglieri regionali, inizia il lento declino anche della rappresentanza parlamentare per la Valle Peligna, alle prese con il baratro economico e con l’inconsistenza del suo peso politico in Regione. Solo una ventata di aria nuova, fatta di giovani pronti ad incarnare la futura classe dirigente, potrà portare sul territorio nuove prospettive di sviluppo per ridare ai Peligni la dignità che meritano.

Savino Monterisi

Giovani fuori sede




KUBRICK E L’ARCHITETTURA

Raccontare di Kubrick è opera ardua ma essendo oggi immersi in una realtà mediatica e dell’immagine, che impone delle icone prevalenti e oggettivamente riconosciute, credo sia importante riscoprire il pensiero che le genera e quanto ognuno, liberamente, può trovarvi ciò che preferisce e ciò che gli detta il gusto.
Kubrick ha prodotto poco, e lentamente. Era ossessionato dalla perfezione dell’immagine, che da sola doveva bastare a raccontare, a trasmettere, a formare. Ecco allora alcuni dei capolavori in cui il regista utilizza lo spazio e il tempo, e quindi l’architettura, come motori principali di sviluppo del racconto di ciò che si vuole comunicare.
Il Monolito in 2001 Odissea nello Spazio - Un viaggio nelle immagini, d’impatto incredibile, nella storia, nella violenza insita nell’essere umano e nella costante ricerca di autodeterminarsi, superando i propri limiti. Quel solido opaco e incomprensibile nella sua immobilità, che determina la nascita della “coscienza” nella scimmia che, quattro milioni di anni dopo, guida l’uomo verso la scoperta di Giove e che, al termine del trip psichedelico, fa rinascere il superstite astronauta sottoforma di feto astrale, in una sorta di Eterno Ritorno. Incerta la natura e la provenienza del monolito, in cui alcuni vedono Dio, alcuni un extra-terrestre, altri la Coscienza, la Legge. E’ proprio dall’ambiguità delle sue immagini che il film trae un fascino misterioso e fa emergere il potere dell’occhio umano di soggettivare la realtà.
Il Kitsch e l’Edilizia Popolare in Arancia Meccanica - Casamento municipale 18/A, zona nord, in una periferia urbana disordinata e invasa dai rifiuti. Alex torna a casa, nella casa dei genitori. Un appartamento conforme ai dettami dell'edilizia residenziale popolare, verniciato a tinte squillanti alternate a tappezzerie orribili, che rimandano alle campiture sgargianti di Mel Ramos, uno degli ultimi esponenti della Pop-Art. Nella casa viene sottolineata la reclusione dello stesso: l'isolato numerato in cui abita, ovvero una casa ridotta a un numero, e la sua stanza munita di una serratura-cassaforte. In questo senso Arancia meccanica è un film fortemente claustrofobico, senza vie d'uscita.
L’Architettura Neoclassica in Barry Lyndon - L'architettura neoclassica in Barry Lyndon è la prigione in cui Barry si annoia, soffre, insieme alla moglie, per la morte del figlio, e insegue grottescamente un titolo nobiliare che non arriverà mai. Paradossalmente le architetture più piccole, sporche e dimenticate sono invece i luoghi di maggior riscatto per Barry: in una piccola rocca dalla pianta rettangolare, Barry salva la vita al malefico capitano Potzdorff; in una piccionaia, sparando a terra e rifiutando così di usare la pistola contro il figliastro, Barry si lascia sconfiggere per diventare il simbolo romantico della colpa e del destino.
Barry Lyndon è un film fortemente visivo, talmente ricco di immagini e riferimenti estetici da farne la più ampia rappresentazione del settecento che il cinema abbia mai prodotto.
Vedute prospettiche centrali e sicure che conducono ad uno spazio scenico geometrico. La luce, naturale, è protagonista di spazi parallelepipedi completamente vuoti in cui i personaggi quasi scompaiono.
Il Labirinto di Shining - Jack Torrance, vittima di se stesso, trova la sua morte nel labirinto, una siepe, un'architettura "vuota" che organizza e impone un percorso inutile.
Ne corrispondono all’ interno i corridoi dell’ Overlook Hotel, una metafora della nostra mente che scatena i suoi incubi, dove non si sa cosa si può incontrare dietro l'angolo.
La struttura metaforica è rivelata sin dall’ inizio: l'albergo è completamente isolato dal mondo, per giungervi un’unica strada, lunga e deserta, dove non s'incrocia nessuno; un affascinante connubio architettonico di comunicazione con l'esterno, nella sua funzione, e di isolamento,nella sua ubicazione. Solitario come un eremita è l'albergo… ma soli non lo siamo forse tutti?

Sara Liberatore

Giovani fuori sede


Lo studente Pratolano fuori sede


Cari lettori, quel che vorrei portare a voi, che vi apprestate a leggere, è una piccola esperienza personale di ciò che un ragazzo del nostro paese può provare quando diventa uno studente fuori sede.
Ovvia premessa: ogni persona ha il suo punto di vista personale ed è impensabile poter scrivere un pensiero e pensare che questo sia di tutti al 100%, ma può essere divertente leggere e sorridere magari trovando qualche punto comune qua e là. La prima sensazione che un fuori sede può trovare trasferendosi in una città, grande o piccola che sia (Pescara nel mio caso) è sicuramente quella sottile eccitazione che ci spinge sempre a ricercare e quindi scoprire cose nuove.  Ognuno di noi cerca dentro di se, a 20 anni, quella libertà che probabilmente non si può avere stando a casa con i genitori. Evadere dalla quotidianità e dalla tranquillità della propria casa con mamma e papà e quindi ritrovarsi a dover vivere da solo, doversi cucinare o imparare a farlo, le gioie e i dolori del bucato fatto in casa, la propria camera, singola o doppia che sia, le prime avventure che sì, ci fanno sentire più grandi. Eccola un’altra grande sensazione che si può provare essendo un fuori sede, la maturità. Ce la ritroviamo tramite un pezzo di carta dopo il liceo, ma ci rendiamo conto d’esser maturi molti anni dopo, ossia in quell’istante in cui, trovandoci davanti a persone mai viste, di culture differenti, di mentalità diverse, l’individuo dentro di noi esce fuori, si analizza, si comprende, cresce e si evolve. Aldilà di ogni esperienza di vita io credo che questo passo sia fondamentale per ogni persona.  Conoscere significa crescere, questo è innegabile, vivere le abitudini proprie assieme ad altre persone, quindi adeguarle, cambiarle, scontrarsi con idee diverse, pensieri politico/calcistici/sociali e questo è eccitante, quasi come la scoperta della città che ci ospiterà per diversi anni. La responsabilità, come detto, che accresce sempre più quando ci troviamo davanti quelle fatidiche date di scadenza, chiamasi esami, che ciclicamente tormentano i nostri sogni come una bevanda alcolica tormenta il nostro fegato, perché per quanto se ne dica, sì, ogni studente fuori sede impara anche a bere quando esce di casa. Non storcete le labbra nel leggere quest’ultimo passo perché ognuno di noi è capacissimo di andare al bar, prendere una birra, un bicchiere di vino, il cocktail del momento, ma quando diventi un fuori sede, beh…la sbornia fuori sede è sicuramente altra cosa rispetto a quella in casa, soprattutto perché il giorno dopo…sono solo fatti tuoi!
Ringraziando chi mi ha dato l’opportunità di esprimere un mio pensiero su questo giornale, voglio insistere sul fatto che essere fuori sede significa crescere, in tutti i sensi, dal mio punto di vista la crescita personale di un individuo può avvenire in mille modi diversi, belli o brutti che siano, ma quando ti ritrovi da solo, senza gli amici di sempre, in mezzo ad un mondo pieno di persone diverse, tu, persona, ti senti solo ma al tempo stesso ti attacchi alla vita, inizi a vivere ed evolvi in tutto.
Cogito ergo sum (penso dunque sono), oppure Carpe diem (cogli il giorno), caro fuori sede!

Marco Gualtieri

Interviste


“Due fratelli nati per la musica”

In questo numero vorrei raccontarvi di Jacopo e Niccolò Santilli, due fratelli accomunati dalla passione per la musica.
Da quando avete iniziato a cantare e quindi a scoprire questa vostra passione?
Niccolò: «In realtà da sempre, la musica ci ha accompagnati sin da piccoli».
Jacopo: «Da quando ho memoria di me. Ho sempre apprezzato qualsiasi forma d’arte. Poi a casa, abbiamo nostro padre che canta e suona e quindi abbiamo ereditato questa bellissima passione da lui».
Avete una vostra band? Quando è nata e com'è formata?
N: «Si, si chiama The Old School, è nata due anni fa. Abbiamo deciso di formare questa band spinti dalla passione per il blues ed il rock'n roll. Abbiamo iniziato con le cover ma ora abbiamo molti pezzi nostri. Infatti abbiamo inciso due demo, il primo da quattro tracce e il secondo da sei».
J: «Si, ho tre progetti musicali parallelli. Il primo è “Articolo il” formato da me e Lorenzo Lucci, nato due estati fa. Progetto molto discusso in questo momento ma preferisco non parlarne. Qui reinterpretiamo pezzi dagli anni 50 ai giorni nostri. Il secondo è quello che io ho più nel cuore, in cui canto e suono pezzi nostri. Si chiama “A l’aube fluorescent”, è un progetto alternative rock. Qui gli altri membri sono Paride Sticca, Francesco Barnabei e Alberto Spicciolato. Il terzo è “Sixty drops”, è un collettivo elettronico sperimentale ma non voglio aggiungere altro perché sarà una sorpresa».
La prima volta che avete cantato in pubblico?
N: «La prima volta nel nostro paese durante la street by street e non solo».
J: «La prima volta in una recita scolastica ma l’esordio c’è stato in una giornata dell’arte negli anni del liceo al parco fluviale».
I vostri genitori/amici vi supportano?
N: «Ai nostri genitori piace quello che facciamo, ma sicuramente i nostri amici ci supportano di più».                                                                                                    
J: «I nostri genitori vorrebbero sicuramente che facessimo altro perché dicono che non è “un’attività redditizia”. I miei amici dicono sempre che li faccio emozionare ma poi capisci davvero chi lo dice e pensa davvero e chi mente e lo dice solo per farti piacere».
Cosa ne pensate dei network che promuovono le bands emergenti e in che modo pensate che possano contribuire al successo?                      
N: «Ora è l'unico modo per diffondere il proprio prodotto in maniera veloce ed efficace».
J: «Una frase che dicevo sempre ad una mia amica è “Dove si trova il volantino appeso al lampione con scritto audizioni oggi?” Io vivo ancora negli anni 90, infatti ho fatto facebook molto tardi e molti mi hanno anche criticato per questo ma ADDUMMAN S M N FREC? Ho dovuto arrendermi per adattarmi alla realtà perché, al giorno d’oggi, i social network sono molto efficaci per promuovere la musica anche se personalmente non mi entusiasma affatto. Sono un “Old school” anch’io per questo».                                
I vostri progetti per il futuro?
N: «Io e la mia band abbiamo intenzione di incidere un album che forse uscirà in estate».
J: «La cosa che mi preme di più è il mio secondo progetto “A l’aube fluorescent” e fissare una parte della mia vita sopra un album, e poi tornare in California magari per sempre.
A nome mio e di mio fratello volevo innanzitutto ringraziarvi per averci dato questo spazio, e poi fare un grande in bocca a lupo a tutti voi».

Lorenza Petrella

Miscellanea



Gioventù Bruciata?

1948. Underground newyorkese. Kerouac, Ginsberg, Burroughs, Cassady, Snyder, Corso. Per farla breve: Beat Generation. Nasceva nella Columbia University, si diffondeva nelle strade della Grande Mela e nei frenetici locali jazz di Frisco, attraversava l’America e finiva a tarallucci e benzedrina.
Delusi, ottimisti, rivoltosi, speranzosi, ribelli, beati.
«La Beat Generation è un gruppo di bambini all'angolo della strada che parlano della fine del mondo » li definiva così Kerouac, uno di loro, uno dei migliori.
Giovani dai 18 ai 30 anni, tutti Americani. Vittime di un sistema corrotto, pieno di controversie, alle prese con un conflitto nucleare e trainato da modelli di vita conformistici. Decisero di evadere, erano assenti. Assenza intesa come fuga, viaggio e nomadismo.
Assenza da quella società senza futuro e senza aspettative che non puntavano a cambiare radicalmente ma che rifiutarono perché corrosa dall’ipocrisia e dalla falsità.
«Perché non lasci perdere? Per quale ragione devi rubare di continuo? Il mondo mi deve alcune cose. Ecco tutto».
Alternativi si, ma non troppo. Le scelte stilistiche e contenutistiche dei Beats sono perfettamente rispondenti alle loro posizioni ideologiche: come sono moderatamente riformatori in campo socio-politico, proponendosi di rinnovare gradatamente senza distruggere« Aiuteremo a modificare le leggi che governavano i cosiddetti paesi civili di oggi: leggi che hanno coperto la Terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione, schiavitù, guerra, morte », così nelle loro opere introducono innovazioni, ma senza scardinare un sistema letterario tradizionale, anzi si preoccuparono di conservarne gli elementi caratterizzanti.
Blake, Rimbaud, Baudelaire, Ezra Pound, Hemingway, Whitman, artisti che, in un modo o nell’altro, influenzarono le opere dei beatnik: dal connubio musica-poesia al “free verse”, dall’abuso delle droghe all’evasione della realtà.
Vita spregiudicata, sul filo del rasoio, caratterizzata, come detto, da un abuso eccessivo di droghe: mescalina, acido lisergico, funghi, hashish, marijuana e benzedrina. Esperienze all’ordine del giorno a cui i Beats difficilmente si sottraevano.
Esperienze che danneggiarono il movimento beat, bersagliato continuamente da pubblicità e critiche portate avanti dai conservatori. Così Kerouac e compagni vennero accusati di “non-poesia”, di poca originalità ed etichettati come fenomeni pubblicitari.
Quel che uscì fuori della beat generation fu un movimento passeggero di cui si sottolineò esclusivamente la condotta anarchica della vita.
La forza della beat generation stava proprio nel riuscire a reagire alle invettive degli Americani. Si incontravano, si incoraggiavano e continuavano a scrivere in attesa di un editore che pubblicasse le loro opere.
«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia».
Esordiva così Ginsberg in “Howl”. L’urlo, l’urlo straziante di chi non accettava l’America e la sua involuzione. Un urlo che divenne presto il manifesto della Beat Generation, l’urlo di quella generazione che, grazie al talento di chi vi ha aderito, vivrà per sempre nella storia della letteratura moderna.
«LET'S GO.  WHERE ARE WE GO MAN?  I DON'T KNOW, BUT WE GOTTA GO»

 Hank

Miscellanea


“NON MI UCCISE LA MORTE, MA DUE GUARDIE BIGOTTE…”


Ogni volta che ascolto la canzone di Fabrizio de Andrè “Blasfemo” mi viene in mente una delle pagine più nere della cronaca italiana, la storia della morte di Stefano Cucchi che ha colpito nel profondo la coscienza sociale e che non si può non raccontare. Stefano Cucchi è un geometra trentunenne romano, un ragazzo appassionato di boxe  che alcuni anni prima della sua morte ha problemi di tossicodipendenza  e viene affidato alle cure di comunità di riabilitazione. La vicenda che lo ha colpito è stata molto dolorosa, sia per le sofferenze patite da lui e dalla sua famiglia, sia perché ha visto fallire la <<macchina giudiziaria>> dello Stato, perché  è stato ucciso più di una volta, è stato ucciso dall’indifferenza delle forze armate, della magistratura, dei medici e infine dalla struttura penitenziaria… 
Tutto ha inizio il 15 ottobre 2009 quando Stefano viene arrestato perché in possesso di hashish, cocaina e alcuni farmaci antiepilettici (essendo epilettico) e successivamente trattenuto  in custodia cautelare; il giorno dopo viene processato per direttissima, già durante il processo si hanno le prime anomalie, poiché il reo aveva difficoltà a camminare e  parlare, ma sia il magistrato giudicante che il magistrato requirente, successivamente interrogati, affermano di non essersi resi conto delle gravi condizioni in cui versava perché non avevano neanche guardato in faccia l’imputato (se fosse davvero così sarebbe meglio impiantare dei robot-magistrati all’interno dei tribunali in modo tale da rendere la magistratura più “umana”) anzi, stabiliscono una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e che il ragazzo deve rimanere in custodia cautelare a Regina Coeli.
 Subito dopo l’udienza Cucchi è condotto all’ospedale Fatebenefratelli in cui gli vengono diagnosticate lesioni ed ecchimosi al viso, alle gambe, alla vescica, al torace, all’addome e alla colonna vertebrale, nonostante le gravi condizioni il giovane rifiuta il ricovero e per questo in carcere le sue condizioni peggiorano ulteriormente. Successivamente il 17 ottobre  viene spostato al reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini che è stato descritto dall’on. Renato Savina <<una struttura peggio del carcere>> dove si impedisce ai familiari di vedere e avere notizie sul ricovero del trentunenne, poiché gli addetti del 
Pertini approfittano della burocrazia per allungare i tempi della visita. Questo dovrebbe farci riflettere… soddisfatte tutte le esigenze burocratiche, il 22 ottobre la famiglia di Cucchi riesce ad ottenere il permesso, ma ormai è tardi, perché Stefano Cucchi quello stesso giorno perde la vita. Le cause della morte sono state i traumi delle percosse( secondo le indagini, gli agenti di polizia Nicola Manichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici gliele avrebbero procurate con calci e pugni )e  il digiuno che ha comportato l’ipoglicemia( per questo furono indagati i medici Stefania Corbi e Rosita Caponnetti). Gli agenti di polizia penitenziaria sono indagati per lesioni e percosse e i medici per abbandono di incapace. Il 13 dicembre 2012 i periti incaricati dalla III corte d’assise di Roma affermano che Cucchi morì per carenza di cibo e liquidi e le lesioni sul corpo furono causate o da una aggressione o da una caduta accidentale.
 Dopo aver esposto tutti i fatti, la conclusione è: Stefano Cucchi è stato ucciso dallo Stato. La questione non suscita scalpore perché nel nostro ordinamento vigono due costituzioni: una materiale e una formale. Della prima è espressione l’ex Sottosegretario di Stato Giovanardi che sostiene <<Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perché pesava 42 chili>> Giovanardi ha continuato: <<La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente...>>; e della seconda invece è espressione appunto l’art. 27 della Cost. che recita <<Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato>>. Probabilmente 
Giovanardi ignora che qualunque sia la condizione in cui versa il reo la pena deve essere rieducativa! Ed il motivo per cui questi principi costituzionali non riescono a penetrare nel vissuto dei cittadini è la inadeguatezza della classe dirigente italiana ancora accecata da pregiudizi ormai vecchi come i dinosauri. Ultimamente Ilaria Cucchi si è candidata alla Camera alle liste di rivoluzione civile ed è stata fortemente criticata dal solito Giovanardi che ha affermato «Ilaria Cucchi sta sfruttando la tragedia del fratello per costruirsi una carriera politica»; con queste parole l’ex Sottosegretario di Stato arriva a strumentalizzare la morte di una persona ed è una cosa a dir poco vergognosa, perché la candidata ingroiana vuole solo arricchire la politica italiana con la sua tragica esperienza, magari cercando di dare un contributo per migliorare le lacune del sistema penitenziario italiano. 
A prescindere dal colore politico della denuncia del fatto (Ilaria Cucchi infatti ha combattuto questa battaglia per  tre anni senza nessun appoggio politico) bisognerebbe trarre da questo tragico episodio un messaggio forte: è il campanello d’allarme della situazione complessiva del sistema detentivo italiano. Si dovrebbe assolutamente operare una riforma del sistema in questione anche per adattarlo ed uniformarlo a livello comunitario; L’Italia infatti presenta segni di arretratezza ed inadeguatezza rispetto al sistema giudiziario degli altri paesi dell’Unione Europea e, a testimonianza di ciò, il nostro paese è stato più volte denunciato per la violazione dell’art. 6 CEDU che riguarda la conclusione in tempi ragionevoli del procedimento giudiziario.

Marco Alberico