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22 feb 2013

Sport


“QUISS EV FORT!”: DINO DI BACCO

Novità in vista per la sezione sportiva di “Parle Serie”. A partire da questo numero, infatti, farà la sua comparsa sulle pagine del nostro giornale “Quiss ev fort!”. Faccio gli onori di casa, e ve la presento: si tratta di una rubrica che racconterà, mese dopo mese, le storie di nostri compaesani che si sono fatti valere nel mondo del calcio. Daremo la parola direttamente a loro, ripercorrendo carriera, sensazioni, esperienze e ricordi della vita calcistica di tutti quelli che “Ivn fort a jucà a pallaun”. Fatte le dovute introduzioni, partiamo con il primo numero. Protagonista è Dino Di Bacco, meglio conosciuto come “Maccascione”, nato a Pratola Peligna il 28/08/1960.

Ciao Dino. Iniziamo il racconto partendo dalla caratteristica base di ogni calciatore. Qual era il tuo ruolo in campo?
«Centrocampista».

Svelaci una qualità e un difetto del Dino calciatore.
«Il mio pregio era senza dubbio la tecnica individuale, mentre non ero particolarmente portato nel colpo di testa».

Adesso raccontaci: quando hai iniziato a giocare?
«I primi calci al pallone risalgono al periodo 1970-1975, ovviamente a Pratola, sotto la guida del maestro Domenico Zavarella e di Dino Di Simone. Nella stagione 76/77 mi sono trasferito nel Sulmona di mister Taverna, dove disputai uno splendido campionato  culminato con la vittoria del campionato di Eccellenza».

Poi è arrivata la svolta. Cosa è successo?
«La svolta arrivò l'anno seguente, quando venni acquistato dall'Avellino calcio, appena promosso in Serie A. Militai nella Primavera della squadra irpina come giovane di serie, guidato da mister Landini. Anche quella fu un'esperienza straordinaria (condita da due convocazioni in prima squadra), che mi procurò le attenzioni di diverse squadre campane di Serie C e D. Accettai la proposta dell'Isernia, la quale proprio in quell'anno conquistò l'approdo al livello professionistico.
Il richiamo di casa però era forte, e fu così che feci ritorno al Sulmona. Con gli ovidiani disputai il campionato di Serie D e mi laureai campione d'Italia con la formazione giovanile. A questo seguirono tanti altri campionati divisi tra Sulmona e Pratola, fino a quando decisi che era giuntio il momento di appendere le scarpette al chiodo, all'età di circa 30 anni».

Quali erano le tue sensazioni in quei momenti?
«Sicuramente tanta gioia, dovuta al fatto di praticare il mio sport preferito a certi livelli».

Hai qualche rimpianto per come sono andate le cose?
«Il mio rimpianto più grande è quello di non averci creduto fino in fondo, prendendo la cosa più come divertimento che come " lavoro "».

Dicci la verità: ti aspettavi di arrivare così in alto?
«Non me lo aspettavo, ma ci credevo. Come detto prima però, non ci ho creduto abbastanza per affermarmi ad alti livelli».

Un momento della tua carriera che ricordi con particolare piacere?
«Ci sono stati tanti momenti importanti, se devo sceglierne uno in particolare dico quello in cui mi sono laureato campione d'Italia con i giovani del Sulmona».

In quale squadra e con quale giocatore ti sarebbe piaciuto giocare.
«Essendo milanista, mi sarebbe piaciuto giocare nella mia squadra del cuore insieme al mio idolo Gianni Rivera».

Paragonando il “tuo” calcio a quello moderno, ritieni sia più difficile per un ragazzo sfondare rispetto al passato?
«Se ci sono sia le capacità tecniche sia la volontà di arrivare in alto, non vi è differenza tra passato e presente, ma in modo particolare bisogna avere le CAPACITA'».

Per concludere. Dall'alto dell'esperienza maturata, consigli agli aspiranti giocatori di puntare sul calcio oppure è meglio dedicarsi agli studi?
«Visti i tempi che corrono, è quasi scontato dire che è meglio studiare, senza però dimenticare di inseguire i propri sogni/passioni».


Se conoscete persone disposte a raccontare la loro storia a questa rubrica, o per consigli/suggerimenti, scrivetemi a: superpippo.92@hotmail.it

Luigi Polce

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