name='description'/> Parle Serie Blog: Miscellanea

22 feb 2013

Miscellanea


“NON MI UCCISE LA MORTE, MA DUE GUARDIE BIGOTTE…”


Ogni volta che ascolto la canzone di Fabrizio de Andrè “Blasfemo” mi viene in mente una delle pagine più nere della cronaca italiana, la storia della morte di Stefano Cucchi che ha colpito nel profondo la coscienza sociale e che non si può non raccontare. Stefano Cucchi è un geometra trentunenne romano, un ragazzo appassionato di boxe  che alcuni anni prima della sua morte ha problemi di tossicodipendenza  e viene affidato alle cure di comunità di riabilitazione. La vicenda che lo ha colpito è stata molto dolorosa, sia per le sofferenze patite da lui e dalla sua famiglia, sia perché ha visto fallire la <<macchina giudiziaria>> dello Stato, perché  è stato ucciso più di una volta, è stato ucciso dall’indifferenza delle forze armate, della magistratura, dei medici e infine dalla struttura penitenziaria… 
Tutto ha inizio il 15 ottobre 2009 quando Stefano viene arrestato perché in possesso di hashish, cocaina e alcuni farmaci antiepilettici (essendo epilettico) e successivamente trattenuto  in custodia cautelare; il giorno dopo viene processato per direttissima, già durante il processo si hanno le prime anomalie, poiché il reo aveva difficoltà a camminare e  parlare, ma sia il magistrato giudicante che il magistrato requirente, successivamente interrogati, affermano di non essersi resi conto delle gravi condizioni in cui versava perché non avevano neanche guardato in faccia l’imputato (se fosse davvero così sarebbe meglio impiantare dei robot-magistrati all’interno dei tribunali in modo tale da rendere la magistratura più “umana”) anzi, stabiliscono una nuova udienza da celebrare qualche settimana dopo e che il ragazzo deve rimanere in custodia cautelare a Regina Coeli.
 Subito dopo l’udienza Cucchi è condotto all’ospedale Fatebenefratelli in cui gli vengono diagnosticate lesioni ed ecchimosi al viso, alle gambe, alla vescica, al torace, all’addome e alla colonna vertebrale, nonostante le gravi condizioni il giovane rifiuta il ricovero e per questo in carcere le sue condizioni peggiorano ulteriormente. Successivamente il 17 ottobre  viene spostato al reparto carcerario dell’ospedale Sandro Pertini che è stato descritto dall’on. Renato Savina <<una struttura peggio del carcere>> dove si impedisce ai familiari di vedere e avere notizie sul ricovero del trentunenne, poiché gli addetti del 
Pertini approfittano della burocrazia per allungare i tempi della visita. Questo dovrebbe farci riflettere… soddisfatte tutte le esigenze burocratiche, il 22 ottobre la famiglia di Cucchi riesce ad ottenere il permesso, ma ormai è tardi, perché Stefano Cucchi quello stesso giorno perde la vita. Le cause della morte sono state i traumi delle percosse( secondo le indagini, gli agenti di polizia Nicola Manichini, Corrado Santantonio e Antonio Dominici gliele avrebbero procurate con calci e pugni )e  il digiuno che ha comportato l’ipoglicemia( per questo furono indagati i medici Stefania Corbi e Rosita Caponnetti). Gli agenti di polizia penitenziaria sono indagati per lesioni e percosse e i medici per abbandono di incapace. Il 13 dicembre 2012 i periti incaricati dalla III corte d’assise di Roma affermano che Cucchi morì per carenza di cibo e liquidi e le lesioni sul corpo furono causate o da una aggressione o da una caduta accidentale.
 Dopo aver esposto tutti i fatti, la conclusione è: Stefano Cucchi è stato ucciso dallo Stato. La questione non suscita scalpore perché nel nostro ordinamento vigono due costituzioni: una materiale e una formale. Della prima è espressione l’ex Sottosegretario di Stato Giovanardi che sostiene <<Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perché pesava 42 chili>> Giovanardi ha continuato: <<La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente...>>; e della seconda invece è espressione appunto l’art. 27 della Cost. che recita <<Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato>>. Probabilmente 
Giovanardi ignora che qualunque sia la condizione in cui versa il reo la pena deve essere rieducativa! Ed il motivo per cui questi principi costituzionali non riescono a penetrare nel vissuto dei cittadini è la inadeguatezza della classe dirigente italiana ancora accecata da pregiudizi ormai vecchi come i dinosauri. Ultimamente Ilaria Cucchi si è candidata alla Camera alle liste di rivoluzione civile ed è stata fortemente criticata dal solito Giovanardi che ha affermato «Ilaria Cucchi sta sfruttando la tragedia del fratello per costruirsi una carriera politica»; con queste parole l’ex Sottosegretario di Stato arriva a strumentalizzare la morte di una persona ed è una cosa a dir poco vergognosa, perché la candidata ingroiana vuole solo arricchire la politica italiana con la sua tragica esperienza, magari cercando di dare un contributo per migliorare le lacune del sistema penitenziario italiano. 
A prescindere dal colore politico della denuncia del fatto (Ilaria Cucchi infatti ha combattuto questa battaglia per  tre anni senza nessun appoggio politico) bisognerebbe trarre da questo tragico episodio un messaggio forte: è il campanello d’allarme della situazione complessiva del sistema detentivo italiano. Si dovrebbe assolutamente operare una riforma del sistema in questione anche per adattarlo ed uniformarlo a livello comunitario; L’Italia infatti presenta segni di arretratezza ed inadeguatezza rispetto al sistema giudiziario degli altri paesi dell’Unione Europea e, a testimonianza di ciò, il nostro paese è stato più volte denunciato per la violazione dell’art. 6 CEDU che riguarda la conclusione in tempi ragionevoli del procedimento giudiziario.

Marco Alberico

Nessun commento :