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22 feb 2013

Giovani fuori sede


Lo studente Pratolano fuori sede


Cari lettori, quel che vorrei portare a voi, che vi apprestate a leggere, è una piccola esperienza personale di ciò che un ragazzo del nostro paese può provare quando diventa uno studente fuori sede.
Ovvia premessa: ogni persona ha il suo punto di vista personale ed è impensabile poter scrivere un pensiero e pensare che questo sia di tutti al 100%, ma può essere divertente leggere e sorridere magari trovando qualche punto comune qua e là. La prima sensazione che un fuori sede può trovare trasferendosi in una città, grande o piccola che sia (Pescara nel mio caso) è sicuramente quella sottile eccitazione che ci spinge sempre a ricercare e quindi scoprire cose nuove.  Ognuno di noi cerca dentro di se, a 20 anni, quella libertà che probabilmente non si può avere stando a casa con i genitori. Evadere dalla quotidianità e dalla tranquillità della propria casa con mamma e papà e quindi ritrovarsi a dover vivere da solo, doversi cucinare o imparare a farlo, le gioie e i dolori del bucato fatto in casa, la propria camera, singola o doppia che sia, le prime avventure che sì, ci fanno sentire più grandi. Eccola un’altra grande sensazione che si può provare essendo un fuori sede, la maturità. Ce la ritroviamo tramite un pezzo di carta dopo il liceo, ma ci rendiamo conto d’esser maturi molti anni dopo, ossia in quell’istante in cui, trovandoci davanti a persone mai viste, di culture differenti, di mentalità diverse, l’individuo dentro di noi esce fuori, si analizza, si comprende, cresce e si evolve. Aldilà di ogni esperienza di vita io credo che questo passo sia fondamentale per ogni persona.  Conoscere significa crescere, questo è innegabile, vivere le abitudini proprie assieme ad altre persone, quindi adeguarle, cambiarle, scontrarsi con idee diverse, pensieri politico/calcistici/sociali e questo è eccitante, quasi come la scoperta della città che ci ospiterà per diversi anni. La responsabilità, come detto, che accresce sempre più quando ci troviamo davanti quelle fatidiche date di scadenza, chiamasi esami, che ciclicamente tormentano i nostri sogni come una bevanda alcolica tormenta il nostro fegato, perché per quanto se ne dica, sì, ogni studente fuori sede impara anche a bere quando esce di casa. Non storcete le labbra nel leggere quest’ultimo passo perché ognuno di noi è capacissimo di andare al bar, prendere una birra, un bicchiere di vino, il cocktail del momento, ma quando diventi un fuori sede, beh…la sbornia fuori sede è sicuramente altra cosa rispetto a quella in casa, soprattutto perché il giorno dopo…sono solo fatti tuoi!
Ringraziando chi mi ha dato l’opportunità di esprimere un mio pensiero su questo giornale, voglio insistere sul fatto che essere fuori sede significa crescere, in tutti i sensi, dal mio punto di vista la crescita personale di un individuo può avvenire in mille modi diversi, belli o brutti che siano, ma quando ti ritrovi da solo, senza gli amici di sempre, in mezzo ad un mondo pieno di persone diverse, tu, persona, ti senti solo ma al tempo stesso ti attacchi alla vita, inizi a vivere ed evolvi in tutto.
Cogito ergo sum (penso dunque sono), oppure Carpe diem (cogli il giorno), caro fuori sede!

Marco Gualtieri

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