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22 feb 2013

Miscellanea



Gioventù Bruciata?

1948. Underground newyorkese. Kerouac, Ginsberg, Burroughs, Cassady, Snyder, Corso. Per farla breve: Beat Generation. Nasceva nella Columbia University, si diffondeva nelle strade della Grande Mela e nei frenetici locali jazz di Frisco, attraversava l’America e finiva a tarallucci e benzedrina.
Delusi, ottimisti, rivoltosi, speranzosi, ribelli, beati.
«La Beat Generation è un gruppo di bambini all'angolo della strada che parlano della fine del mondo » li definiva così Kerouac, uno di loro, uno dei migliori.
Giovani dai 18 ai 30 anni, tutti Americani. Vittime di un sistema corrotto, pieno di controversie, alle prese con un conflitto nucleare e trainato da modelli di vita conformistici. Decisero di evadere, erano assenti. Assenza intesa come fuga, viaggio e nomadismo.
Assenza da quella società senza futuro e senza aspettative che non puntavano a cambiare radicalmente ma che rifiutarono perché corrosa dall’ipocrisia e dalla falsità.
«Perché non lasci perdere? Per quale ragione devi rubare di continuo? Il mondo mi deve alcune cose. Ecco tutto».
Alternativi si, ma non troppo. Le scelte stilistiche e contenutistiche dei Beats sono perfettamente rispondenti alle loro posizioni ideologiche: come sono moderatamente riformatori in campo socio-politico, proponendosi di rinnovare gradatamente senza distruggere« Aiuteremo a modificare le leggi che governavano i cosiddetti paesi civili di oggi: leggi che hanno coperto la Terra di polizia segreta, campi di concentramento, oppressione, schiavitù, guerra, morte », così nelle loro opere introducono innovazioni, ma senza scardinare un sistema letterario tradizionale, anzi si preoccuparono di conservarne gli elementi caratterizzanti.
Blake, Rimbaud, Baudelaire, Ezra Pound, Hemingway, Whitman, artisti che, in un modo o nell’altro, influenzarono le opere dei beatnik: dal connubio musica-poesia al “free verse”, dall’abuso delle droghe all’evasione della realtà.
Vita spregiudicata, sul filo del rasoio, caratterizzata, come detto, da un abuso eccessivo di droghe: mescalina, acido lisergico, funghi, hashish, marijuana e benzedrina. Esperienze all’ordine del giorno a cui i Beats difficilmente si sottraevano.
Esperienze che danneggiarono il movimento beat, bersagliato continuamente da pubblicità e critiche portate avanti dai conservatori. Così Kerouac e compagni vennero accusati di “non-poesia”, di poca originalità ed etichettati come fenomeni pubblicitari.
Quel che uscì fuori della beat generation fu un movimento passeggero di cui si sottolineò esclusivamente la condotta anarchica della vita.
La forza della beat generation stava proprio nel riuscire a reagire alle invettive degli Americani. Si incontravano, si incoraggiavano e continuavano a scrivere in attesa di un editore che pubblicasse le loro opere.
«Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte da pazzia, morir di fame isteriche nude strascicarsi per strade negre all’alba in cerca di una pera di furia».
Esordiva così Ginsberg in “Howl”. L’urlo, l’urlo straziante di chi non accettava l’America e la sua involuzione. Un urlo che divenne presto il manifesto della Beat Generation, l’urlo di quella generazione che, grazie al talento di chi vi ha aderito, vivrà per sempre nella storia della letteratura moderna.
«LET'S GO.  WHERE ARE WE GO MAN?  I DON'T KNOW, BUT WE GOTTA GO»

 Hank

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