name='description'/> Parle Serie Blog: "Dietro l'angolo"

12 ago 2013

"Dietro l'angolo"

Breve storia con un epilogo triste

Quando chiuse la prima fabbrica sinceramente non ci feci troppo caso.
Quando poco dopo, a chiudere fu la fabbrica di mio padre, allora si che ci feci caso.
Quando chiuse la fabbrica di mio padre si fecero scioperi, manifestazioni, blocchi stradali ma mio padre e i suoi colleghi erano soli. I lavoratori della fabbrica a fianco gli sfilavano davanti e da dentro le automobili li guardavano come si guardano gli elefanti al circo
, poi entravano per il loro turno di otto ore. Quando chiuse la fabbrica di mio padre quelli della fabbrica a fianco se ne fregarono insomma. Quando però chiuse la fabbrica a fianco a quella di mio padre, furono gli operai della fabbrica di mio padre a fregarsene e guardavano inermi gli operai della fabbrica a fianco che protestavano.
Quando chiuse l'ultima fabbrica della mia città, gli ultimi operai scesero in strada, fecero cortei, bloccarono il traffico ma nessuno in città si unì a loro. Quando chiuse l'ultima fabbrica della mia città gli infermieri devi vedere come erano contenti: "ah vi sta bene, così imparate a fare l'assemblea sindacale il lunedì mattina e lo sciopero al venerdì! Vi sta bene così imparate a chiedere il permesso per andare al mare o a mandare la malattia perché non avete voglia di lavorare! E noi invece dentro questo ospedale a faticare come muli".  Quando poi chiuse l'ospedale perché lo Stato aveva finito i soldi per gli “ospedali minori” e da oggi chi si voleva far curare doveva andare dalla clinica privata e pagare, anche gli infermieri scesero in strada e fecero cortei, blocchi stradali, occupazioni e presidi per il "diritto alla salute", ma nessuno scese con loro in strada. Gli operai ormai tutti disoccupati pensavano: "ma a che ci serve il diritto alla salute se noi non abbiamo più nemmeno il diritto al lavoro! E poi, quando in strada scendevamo noi, non c'erano mica gli infermieri al nostro fianco!", e così anche l'ospedale chiuse. La cosa singolare è che quando gli infermieri manifestavano al loro fianco avevano ovviamente anche i medici, non è questa la cosa singolare, la cosa singolare è che in città c'era un'accesissima rivalità fra i medici e gli avvocati, nata credo in consiglio comunale dove entrambe le categorie lavorative erano parimenti rappresentate e se le davano di santa ragione ad ogni riunione del consiglio. Beh quando infermieri e medici manifestavano contro la chiusura dell'ospedale, gli avvocati gli facevano le corna, gli dicevano: "ah stronzi, mo' col cazzo che ci fregate in consiglio comunale, adesso ve ne andate tutti a lavorare fuori città e il consiglio comunale diventa degli avvocati, tanto noi il denaro ce l'abbiamo e le cure ce le facciamo fare dalla clinica privata a pagamento!" e poi via con il gesto dell'ombrello.
Il vero dramma è che solo qualche mese dopo avvenne l'impensabile, chiuse anche il tribunale. Quando il tribunale chiuse, in città gli avvocati fecero un gran bordello. Manifestazioni, blocchi stradali, assemblee, addirittura fecero lo “sciopero del voto”, ovvero non andarono a votare alle  elezioni, mica fessi gli avvocati! Quando il tribunale chiuse e gli avvocati protestarono, il problema grande fu che gli avvocati erano soli. E nella mia città non è che ci sono duemila avvocati, saranno stati una ventina. Ora te le immagini le risate dei celerini quando gli avvocati facevano le manifestazioni e provavano a bloccare il traffico in venti e gli automobilisti gli suonavano il clacson e gli urlavano:
"cornuti vi spostate che devo andare a fare la spesa!", oppure "ah, mo si che vi sta bene, avete magnato fino ad ora e adesso non magnate più!" o ancora "tornatevene a casa che tanto non fate niente dalla mattina alla sera!". Una volta gli avvocati provarono ad occupare addirittura il comune, quel giorno erano solo dieci, non potete immaginare le botte che gli diedero i celerini, ridevano come matti mentre li pestavano e poi gli dicevano: "ma ancora qua state? Ma non ve ne andate a casa? Tanto il tribunale ormai è chiuso!"
I celerini si che erano sicuri perché le caserme mica si possono chiudere.
Le caserme dei celerini forse non chiudono, ma le caserme dei militari si che chiudono.
Quando chiuse la caserma dei militari, i quaranta militari, più che una manifestazione, fecero una parata. Sfilarono lungo il corso della città e ai lati era pieno di gente che li guardava e rideva e diceva :"ma ancora qua state? Ma non v'hanno trasferito?".
Oramai nella mia città le manifestazioni erano veri e propri eventi, ogni volta che dei lavoratori perdevano il lavoro protestavano manifestando lungo il corso e tutti accorrevano per l’occasione. I poveretti al centro e ai lati tutti a prenderli in giro nell’euforia più totale.
Quando chiuse la Caserma e i militari manifestarono, ai lati della strada c'erano anche gli studenti universitari che gli urlavano: "via l'esercito, abbasso la guerra, viva la pace".
Gli studenti universitari erano gli ultimi sognatori di una città che moriva lentamente senza accorgersene, gli ultimi che potevano risollevare le sorti della città. Ma gli studenti pensavano alla pace del mondo, non gli importava della loro città, così non si adoperarono, ma continuarono a studiare e ad andare alle manifestazioni per la pace a Roma. Poi un giorno il Governo decise: "meno scuole più case!".
E tutti i soldi che dovevano essere spesi per l'istruzione da quel momento sarebbero stati spesi per costruire le case, perché si sa che la casa fa girare l'economia della nazione, lo studente tutt'al più fa girare l'economia del paninaro, del pizzettaro e del porchettaro che stanno davanti l'università. Quando l'università chiuse gli studenti che manifestarono erano soli, provarono ad occupare il comune ma i celerini gli diedero tante di quelle botte che ne mandarono cinque all'ospedale. Chissà quanto hanno sofferto quei poveri studenti, l'ospedale più vicino era a sessanta kilometri. Quando chiuse l'università gli studenti andarono semplicemente in altre città. Poco alla volta toccò anche ai commercianti.
Quando chiusero i piccoli negozietti nessuno manifestò, ormai l’euforia che viveva la città era stata completamente cancellata dalla crisi economica e dalla depressione generale.
Quando un negozietto chiudeva, il commerciante prima abbassava la saracinesca e affiggeva un cartello con scritto “vendesi”, o “affittasi”, poi abbassava anche la testa e si avviava desolato verso casa. Nella mia città non c'erano più gli operai, gli infermieri, i medici, gli avvocati, i militari, gli studenti e i commercianti. Ognuno aveva pensato a se stesso ed aveva inesorabilmente perso. Ognuno, prima guardava l'altro dall'alto in basso, poi finiva per diventare inesorabilmente lui "l'altro". Una città del resto è come un organismo, non può funzionare senza tutte le sue parti, non funziona senza fornaio, senza parrucchiere, senza asilo, senza centro anziani. Nella città ognuno è indispensabile, il giornalaio, l'infante, il pensionato, il migrante, il muratore, la baby sitter.
La solidarietà, la cooperazione e la comunicazione fra le parti è pertanto essenziale.
Quindi, se tutti si adoperano per la città, prima o poi la città si adopererà per loro.
Quando compii venticinque anni i miei amici mi chiesero che regalo volessi per il compleanno, gli risposi semplicemente: “un biglietto del treno per un'altra città”, perché nella mia città non era rimasto più niente.


Savino Monterisi

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