name='description'/> Parle Serie Blog: La musa di un folle artista

28 ott 2013

La musa di un folle artista

Parle Serie da spazio ad una giovane ragazza pratolana con la passione per la scrittura: Claudia Di Meo. La musa di un folle artista è il titolo del racconto che verrà pubblicato in sedici puntate il Lunedì e il Venerdì. Buona lettura a tutti.


La musa di un folle artista
Questo mio racconto nasce due anni fa, da un’immagine venutami in mente in un momento di dormiveglia, frutto dei miei pensieri e dall’unica passione che mi ha accompagnata in questi 19 anni di vita: la scrittura. Una delle mie prime scene della mia infanzia, infatti, e’ proprio quella di mia madre, che quando avevo ancora 4-5 anni, comincio’ ad insegnarmi a leggere e scrivere, ripetendomi che solo chi sa leggere sa anche scrivere e che spesso tutte quei pensieri che non riusciamo a pronunciare , messi su carta, diventano piu’ belli. La musa di un folle artista, racconta una storia inventata tratta da esperienze comuni a molti ragazzi, e’ il monologo di una ragazza che vive per la prima volta una storia d’amore e anche se il finale puo’ essere in certo senso tragico, nasconde invece la mia convinzione che nella vita bisogna lasciarsi cadere a volte, ma poi avere la forza di rialzarsi. Ho deciso di condividere questo mio lavoro con voi lettori di Parle Serie e con il popolo di facebook perche’ mi piacerebbe ricevere dei commenti, anche negativi, per poter migliorare questo mio esperimento di scrittura creativa al fine, perche’ no, in futuro, di poterlo ampliare e trasformare in un vero libro. Ringrazio Fabio e Mattia che mi hanno concesso questa opportunita’ e tutte le persone, soprattutto le mie amiche, che hanno sempre creduto in me e mi hanno spinta a completare questo lavoro. Mi auguro che vi piaccia e se cosi’ non fosse, come gia’ detto, aspetto le vostre critiche. Buona lettura a tutti.



La musa di un folle artista - Puntata 1

La pelle marrone e scorticata del sedile mi si era quasi incollata alla parte delle gambe lasciata scoperta dagli shorts,il caldo torrido di quel giorno di giugno si era diffuso in tutto il vagone del treno,e come accade sempre in queste situazioni, i vetri delle finestre erano bloccati. Con la mano umida raccoglievo i capelli tutti insieme per poi spostarli sulla spalla sinistra lasciando scoperta quella destra e per un attimo mi sentii meglio. Attraverso il vetro spesso guardavo le case susseguirsi ,alternate a spazi verdi che sorgevano rigogliosi fra il grigio del cemento,il sole splendeva prepotente e i suoi raggi entravano dritti nei miei occhi. 
Accanto a me era seduto un uomo alto e distinto con indosso un vestito elegante gessato corredato da tanto di camicia e cravatta,appena lo vidi pensai subito che stesse morendo dal caldo,eppure lui non esternava quella sofferenza,ma solo raramente con estrema eleganza tirava fuori, dalla tasca interna della giacca,un fazzoletto di cotone e si tamponava alcune goccioline di sudore che gli scendevano lungo il collo. Sulle gambe aveva poggiata una The bridge nera e lucida,che a causa di una brusca frenata del conducente cadde a terra e si aprì lasciando scivolare uno stetoscopio e un libretto delle ricette. 
Nel posto frontale ,invece, era seduta una donna giovane dai lineamenti delicati e l’aspetto curato,aveva gli occhi profondamente tristi e solo di rado, quando i nostri sguardi si incrociavano, tirava fuori un sorriso di cortesia e circostanza. Una bambina di circa 5 anni con le guance rosate e due trecce nere che le ricadevano lungo le spalle,dormiva pacificamente in braccio a lei,quando il treno frenava storceva un po’ la bocca e apriva di scatto gli occhi,ma poi tornava ai suoi sogni tranquilli. 
La donna l’accarezzava teneramente e le baciava la testa. Fu davanti a quei riguardi pieni di tanto amore che sentii scorrermi lungo la schiena dei brividi di dolore. Sì perché io una mamma non l’avevo mai avuta e assistere a tali gesti mi faceva rimpiangere tutta la tenerezza a cui la zia Carol,nonostante i tentativi,non aveva mai saputo sopperire. Una madre in realtà l’avevo, viveva ad Oxford e conoscevo benissimo la sua identità. Era figlia di un ricco industriale e mi concepì con un dipendente dell’azienda, appena diciottenne. 
I suoi genitori non accettarono mai la gravidanza e non potendo porvi “rimedio” con l’aborto poiché da cristiani lo reputavano immorale,con altrettanta ipocrisia mi diedero via appena nacqui e mi mandarono in un paesino dalla parte opposta dello stato con una signora che da sempre gli era stata fedele,Carol appunto, che io chiamavo affettuosamente zia. Per quello che sapevo e mi importava sapere mia madre più tardi si sposò ed ebbe altri figli. Non venne mai a cercarmi e anche io feci lo stesso. Per quanto cercassi di non pensare a lei a volte,in momenti come questi,mi tornava in mente e una sensazione di odio e disprezzo si diffondeva in ogni parte del mio corpo e mi chiedevo se mi avesse mai tenuta in braccio. Perché davvero non riuscivo a capire con quale coraggio poi mi avesse lasciata andare via per sempre.
La zia a volte mi chiedeva se volessi sapere qualcosa di lei, se volessi vedere sue foto, e sbadatamente si lasciava scappare che i miei occhi erano uguali ai suoi e che avevo lo stesso suo modo di muovere le mani, ma a quelle parole io puntualmente mi irrigidivo ed esplodevo in una profonda e isterica risata, poi la guardavo e dicevo : “Come faccio ad avere lo sguardo e le movenze del mare? Tu stessa mi hai sempre ripetuto che io sono figlia delle onde che unitesi in amore col vento mi hanno lasciata sulla spiaggia,dove tu mi hai trovata e accolta fra le tue braccia!”. L’eco del silenzio di mia madre mi rimbombò dentro per tutta la vita, e la sua assenza mi segnò più di qualsiasi altro incontro e presenza …Anche più di lui!

Claudia Di Meo

Nessun commento :