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22 set 2013

Attualità

    L’autunno caldo della scuola italiana                                               
Edoardo Puglielli*                                                                    


«Comprendo le ragioni delle proteste di docenti e studenti: io sto dalla loro parte». Così Maria Chiara Carrozza, ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in una recente intervista televisiva. Da che parte si schiererà realmente il ministro – se dalla parte dei licenziamenti, della precarietà e dell’ignoranza o dalla parte della scuola pubblica di qualità e del diritto all’istruzione per tutti per ogni ordine e grado, dall’infanzia all’università – lo scopriremo presto. Il mondo della scuola, infatti, è già sul piede di guerra: la legge Gelmini non è stata abrogata;
gli 8 miliardi indebitamente sottratti alla scuola dal governo Berlusconi-Tremonti non sono stati restituiti; le risorse stanziate per l’edilizia scolastica non sono bastate; il rinvio del contratto degli insegnanti ed il blocco degli scatti di anzianità hanno provocato dure reazioni nella categoria; di immissione in ruolo di tutti i docenti iscritti nelle GaE (costretti ormai da anni in una condizione di precariato illegale e in più sottoposti al concorsaccio di Profumo) non si di parla. Sindacati dei docenti e del personale amministrativo, organizzazioni dei precari e movimento studentesco hanno perciò già programmato mobilitazioni, scioperi e proteste. L’11 ottobre scenderà in piazza il movimento studentesco: «saremo in tutte le piazze d’Italia – afferma il portavoce nazionale della Rete degli studenti medi – per spiegare che gli studenti hanno bisogno di risposte concrete e immediate. Le nostre scuole necessitano di investimenti e di una riforma strutturale». Il coordinamento precari-scuola di Roma, da parte sua, ha invitato tutti gli altri coordinamenti a mobilitarsi, «a partire dalla parola d’ordine del ritiro dei tagli della Gelmini e della riforma Fornero». Il 18 ottobre c’è lo sciopero generale proclamato da Cobas, Cub e Usb per tutte le categorie ma con una particolare attenzione per la scuola: piano di assunzioni, definizione degli organici, questione salariale, Invalsi, organico di sostegno, ‘quota 96’, dirigenti scolastici vacanti in alcune regioni, etc., sono al centro della piattaforma di lotta. Si tratta di temi su cui anche Cgil, Cisl e Uil hanno recentemente espresso forti preoccupazioni. «Devono essere risolti entro agosto o mettono a rischio l’inizio dell’anno scolastico. Siamo quasi fuori tempo limite. Se non arriveranno gli interventi attesi il personale della scuola reagirà» (Francesco Scrima, Cisl Scuola). «Quello che maggiormente serve alla scuola è la definizione degli organici» (Massimo Menna, Uil Scuola). «Servirebbe una nuova definizione degli organici: quella attuale non garantisce una scuola di qualità (…) In molte zone, soprattutto al Sud, la situazione è drammatica, per effetto delle operazioni di dimensionamento e delle riduzioni del personale amministrativo (…) Chiediamo che si apra immediatamente il piano di stabilizzazione di 180mila inseriti nelle graduatorie a esaurimento e di smetterla con la ‘fabbrica delle illusioni’ dei tirocini formativi» (Domenico Pantaleo, Flc-Cgil).
L’anno scolastico 2013-14, dunque, partirà fin da subito tra mobilitazioni, scioperi, proteste. Del resto – proclami televisivi a parte – quel che ormai tutti sanno è che da circa vent’anni la distruzione della scuola italiana è un processo ininterrotto e continuo. Basti pensare che tra i 27 paesi membri dell’Unione Europea l’Italia è attualmente il penultimo nella classifica per fondi destinati all’istruzione (8,5% a fronte del 10,9% Ue) e l’ultimo nella classifica per fondi desinati alla cultura (1,1%, a fronte del 2,2% Ue). Negli ultimi tre anni, tra i 27 paesi Ue solo 8 hanno tagliato fondi all’istruzione: l’Italia è al primo posto di questa triste classifica, con -10,4% tra il 2010 e il 2012. Al contrario – nonostante la crisi – Austria, Danimarca, Finlandia, Lussemburgo Svezia e Turchia hanno incrementato le risorse (la Turchia è al primo posto, con +16,5%, seguita dal Lussemburgo, con +7,4%). Anche per quanto riguarda i tagli sul numero degli insegnanti l’Italia è tra i peggiori paesi Ue: dal 2000 al 2010 il numero degli insegnanti è diminuito dell’11,1%, mentre in Svezia è aumentato del 21,9%, in Germania del 13%, in Finlandia del 12,9%. La legge Gelmini, com’è noto, ha avuto come principali obiettivi: 1) tagliare circa 100mila cattedre; 2) far crescere la quota di personale precario. E da allora le cose non sono cambiate. A fronte della crescita della popolazione scolastica resta il blocco degli organici, la costrizione per centinaia di migliaia di docenti a permanere in una condizione di precariato illegale, la drastica riduzione dei pensionamenti, etc… Nello specifico, spiega la FlcGgil, «a fronte della riduzione complessiva di 81.614 docenti abbiamo avuto un aumento di oltre 90.000 alunni in più, che avrebbe dovuto determinare un incremento di circa 9.000 docenti in più». Con oltre 90.000 alunni in più – continua la nota del sindacato – «si sarebbero dovute creare non meno di 4.500 classi in più (con media di 20 alunni per classe), invece ne sono state tagliate oltre 9.000. La conseguenza è evidente: le cosiddette classi pollaio sempre più numerose, spesso anche oltre il tetto massimo previsto per norma», e la conseguente dequalificazione del sistema scolastico. Non sarà certo un caso se tra i 34 paesi Ocse l’Italia risulti essere quello ‘meno formato e meno istruito’, posizionandosi in fondo alle classifiche relative al numero dei soggetti che riescono a conseguire un titolo universitario. Secondo l’Istat, nella fascia 25-34anni la quota di laureati è del 21% (la media Ocse è del 38%), dato che colloca l’Italia al penultimo posto, davanti solo alla Turchia (17%). Se invece si prendono in considerazione tutte le fasce d’età il numero dei laureati scende bruscamente, attestandosi appena al 15% (la media Ocse è del 31%), come il Portogallo e solo davanti alla Turchia (13%). La stessa ricerca, infine, rileva che nella fascia d’età 15-29anni il 23% degli italiani non fa letteralmente nulla: non studia e non lavora. In questa classifica l’Italia è quartultima; seguono Spagna (24%), Israele (27%) e Turchia (37%).
Alla luce di un tale quadro, tuttavia, nulla sembra cambiare. Anzi! Anche il nuovo anno scolastico partirà all’insegna di nuovi tagli. Solo per l’Abruzzo, ad esempio, la circolare ministeriale n. 10 del 21/03/2013 ha stabilito per l’a.s. 2013-14 un taglio all’organico di altri 48 posti. Nella Valle Peligna, nello specifico, l’a.s. 2013.14 inizierà con nuovi accorpamenti e con l’istituzione di soli due poli di scuole secondarie di secondo grado: un polo tecnico-scientifico (al Liceo scientifico Enrico Fermi vengono accorpati I.T.C. e I.T.G. di Sulmona e I.T.I.S. di Pratola Peligna) e un polo umanistico (all’Istituto Giovanbattista Vico – comprendente Liceo delle scienze umane e Liceo linguistico – vengono accorpati Liceo classico e Istituto d’arte). Con questi ulteriori accorpamenti diventano ben sette le istituzioni scolastiche soppresse nel territorio nell’arco degli ultimi tre anni (I.C. Valle del Sagittario, I.T.I.S. Leonardo da Vinci di Pratola Peligna, I.T.C e I.T.G. De Nino di Sulmona, I.S.I.S. Ovidio, Scuola Media Ovidio, Scuola Media Serafini, Scuola Media Capograssi).
La conseguenza di queste politiche scolastiche è l’immiserimento culturale e civile del paese. Continua ad essere attaccata la qualità dell’azione scolastica, la qualità di quell’indispensabile lavoro culturale intergenerazionale a cui la scuola pubblica e i docenti sono deputati. I principali responsabili della dequalificazione della scuola italiana, com’è noto, sono soprattutto i governi Berlusconi (la sola legge Gelmini, come sappiamo, ha sottratto alla scuola pubblica risorse pari ad 8 miliardi di euro); ma le cose, successivamente, non sono cambiate. Altri 200milioni di euro sono stati sottratti alla scuola dalla spendig review del governo Monti, tagli giustificati con argomenti privi di ogni contenuto culturale e pedagogico, con discorsi che nelle attuali condizioni sfiorano il ridicolo: alla sottrazione di risorse, infatti, si è provato a rispondere con l’introduzione forzosa di ‘miracolose’ innovazioni tecnologiche; con continui annunci su ‘sperimentazioni’ volte a ridurre la durata dei cicli di istruzione; con l’invito ad affannose e sterili rincorse ai cosiddetti ‘progetti esterni’, di cui non sempre sono gli studenti e gli istituti scolastici a beneficiarne. Al taglio delle risorse, al contrario, bisogna rispondere con il ripristino delle risorse, con nuovi e massicci investimenti, e non con acrobatiche improvvisazioni presentate come ‘innovazioni didattiche’.
Gli insegnanti, da parte loro, denunciano ormai da tempo una situazione diventata insostenibile, uno stato di cose che rischia di trasformare la scuola da istituzione formativa in fabbrica di soggetti sempre meno in possesso di contenuti culturali e sempre più in balìa di un mercato del lavoro sempre più selvaggio, precario, dequalificato e sottopagato. La vita quotidiana nelle scuole italiane, infatti (oltre agli ininterrotti tagli su risorse e personale e al fenomeno illegale del precariato dilagante), è fatta anche di: alto numero di alunni per classe, tagli al monte ore di lezione e all’offerta formativa, crescente contrazione delle ore del sostegno, riduzione della qualità della didattica, edifici non a norma, cattedre scoperte, speculazioni sulle mense scolastiche, scandalo del ‘contributo volontario’ (che continua ad essere richiesto e presentato come obbligatorio: un’ennesima truffa alle famiglie), accorpamenti di scuole, presidi mancanti o trasformati in professionisti del management dell’emergenza (a causa della razionalizzazione e dei conseguenti accorpamenti sono ultimamente scomparse quasi 2.000 scuole), applicazione illegale di sistemi di valutazione che nulla hanno a che vedere con il ruolo educativo della scuola. Uno di questi è l’Invalsi, che tanti presidi cercano di imporre illegalmente a scuole, studenti e docenti sostenendo l’obbligatorietà dei quiz. Dopo la sentenza della magistratura che ha confermato la non obbligatorietà, spiegano i Cobas, «il MIUR è stato costretto a tirare le orecchie ai presidi che non avevano convocato i Collegi docenti per deliberare sull’Invalsi e che pretendevano di imporli a tutti. Né il MIUR né i presidi possono rendere legge l’obbligatorietà dei quiz, che si scontra sia con il contratto per gli obblighi di lavoro, sia – e soprattutto – con la Costituzione: art.117 sull’autonomia delle istituzioni scolastiche e art. 33 sulla libertà di insegnamento, in base ai quali gli Organi collegiali e i singoli docenti hanno libertà di decisione su qualsiasi ‘attività ordinaria’, compresa la valutazione sull’apprendimento degli studenti. I quiz restano non obbligatori per docenti e studenti».
Di fronte a questo quadro, i docenti italiani, le associazioni di cittadini e le organizzazioni studentesche sostengono che al centro dell’azione politica debbano esser poste la scuola, l’università, la ricerca, la conoscenza, i diritti sociali ed un’idea di Europa dei cittadini e della partecipazione democratica; che al centro del rinnovamento debba essere posta la scuola pubblica, laica, gratuita, di qualità per tutti. I docenti italiani chiedono ormai da tempo: il rifinanziamento della scuola pubblica statale (restituendo gli 8 miliardi indebitamente sottratti dal governo Berlusconi e portando il finanziamento in linea con i paesi Ocse); il rilancio della qualità dell’istruzione pubblica (diminuendo il numero degli alunni per classe, provvedendo agli interventi edilizi di messa in sicurezza e di adeguamento dimensionale degli istituti, aumentando gli stipendi degli insegnanti e dei lavoratori, garantendo l’accesso a percorsi di formazione permanente); l’assunzione dei precari a tempo indeterminato (ottemperando anche alla normativa europea che impone la stabilizzazione dei lavoratori che lavorano da oltre tre anni a tempo determinato nelle scuole); il blocco dei tentativi di privatizzazione e di aziendalizzazione degli istituti scolastici, per garantire, invece, una scuola pubblica democratica, laica e pluralista, capace di fornire a tutti una formazione di base, critica e indipendente dagli interessi del profitto privato; il ritiro di quei provvedimenti che vorrebbero differenziare in base al ‘merito’ i finanziamenti alle scuole (lasciando ancora più indietro le situazioni di disagio sociale) ed imporre sistemi di valutazione che nulla hanno a che vedere con il ruolo istituzionale e culturale della scuola. Dopo più di un ventennio di distruzione, denigrazione e dequalificazione della scuola pubblica i nodi sono venuti al pettine. Se il ministro Carrozza, come ha dichiarato, non si «schiererà dalla parte dei docenti e degli studenti», l’autunno della scuola italiana sarà inevitabilmente molto caldo.






* Docente di filosofia e scienze umane nei licei.

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