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12 ago 2013

Miscellanea

Privatizzazioni? NO GRAZIE… abbiamo già dato!

Per tre decenni l’ideologia che ha dominato incontrastata nelle società occidentali può essere così sintetizzata: ‘meno Stato, più mercato’. L’ideologia neo-liberale è stata pervasiva al punto tale da imporsi come pensiero unico, cioè in modo trasversale a tutti gli schieramenti politici governativi. Un aspetto di questa ideologia
riguarda la presunta maggior efficienza dell’impresa privata rispetto a quella pubblica: pur non esistendo alcuna ricerca empirica che dimostri tale superiorità, l’asserzione che l’impresa privata sia più efficiente di quella pubblica si è trasformata in convinzione comune, in verità comunemente accettata. La conseguenza? Benvenute privatizzazioni! Il mito dell’autosufficienza del libero scorrimento delle merci senza vincoli e restrizioni si è praticamente imposto – parafrasando Pasolini – come religione del nostro tempo: ha letteralmente sostituito l’ormai fuori moda divina provvidenza (i mercati dicono, i mercati rivelano, i mercati reagiscono, i mercati ruggiscono, i mercati disapprovano, speriamo che i mercati… e così via).
L’ideologia della razionalità del mercato viene ora sbugiardata quotidianamente dagli effetti sociali e politici della crisi: come si può parlare di efficienza e di razionalità del mercato in una situazione in cui nel globo a capitalismo reale il numero dei disoccupati supera la cifra di 200milioni? in cui sistematicamente viene messa in discussione la garanzia dei diritti più elementari (sanità, assistenza e servizi alla persona, istruzione, pensioni, sostegno alla povertà, lotta all’esclusione)? in cui autoritarismo e fascismo (vedi Grecia) riemergono per giustificare ideologicamente l’erosione progressiva di quei diritti, ovvero la cancellazione dei presupposti stessi su cui si fonda ogni assetto democratico? Che razionalità è mai questa? La crisi, a ben vedere, mostra quello che molti già sapevano: l’autoregolamentazione dei mercati, il modello di deregulation (avviato da Reagan negli anni Ottanta e poi via via imposto/adottato nei paesi europei e in Italia: don’t forget Genova2001) significa semplicemente assenza di regolamentazione e dominio dei mercati. E in assenza di regolamentazione, da soggetto razionale il mercato si capovolge in ‘mostro da videogame’ da sconfiggere o quantomeno da domare (la metafora ricorre frequentemente in Tremonti&Co. e nel lessico della destra italiana).

La crisi – ci domandiamo a questo punto – insegna? La domanda, forse, è mal posta. «La storia», spiega Gramsci, «insegna, ma non ha scolari». E «chi non conosce la storia» – si legge in una nota affermazione attribuita a Primo Levi – «è obbligato a riviverla». Cosa significa? Nel nostro caso –  come mostrano le vicende di Spagna, Grecia e Portogallo – significa che, nonostante tutto, la situazione di crisi continua ad essere adoperata ad arte dai fondamentalisti del libero scambio per continuare l’assedio al pubblico, per rendere cioè inevitabili ulteriori privatizzazioni di imprese e servizi pubblici al fine di trarne grandi profitti privati a spese dell’interesse generale. Il copione è quello di un film già visto. La crisi di debito estero (prevalentemente privato) viene spacciata per crisi di debito pubblico: la spesa pubblica viene quindi immediatamente bloccata da un trattato internazionale (pareggio di bilancio), sottraendo così risorse necessarie al funzionamento dei servizi pubblici. La conseguenza è che la qualità del servizio pubblico erogato peggiora. Il cittadino (soprattutto in quei paesi dove il conflitto di interessi della destra è ‘tollerato’ anche da una certa sinistra) viene persuaso dai media che non vale la pena mantenere in vita, attraverso le tasse, un servizio pubblico non efficiente. La soluzione per uscire dalla crisi diventa così un nuovo slogan da imparare facilmente a memoria: dismettere patrimonio pubblico inefficiente (leggi: reso inefficiente) per ridurre il debito: vale a dire privatizzare altri enti, beni e servizi pubblici messi nella condizione di non-poter-essere-efficienti. L’azienda o il servizio pubblico viene così acquistato ad un prezzo assai conveniente da qualche ‘ricostruttore della patria’, che ha l’unico scopo di trarne convenienti profitti: il servizio (ex-pubblico), infatti, viene erogato al cittadino a costi maggiori (con la conseguenza che non tutti possono più accedervi) e, al contempo, i costi delle branche non redditizie del servizio stesso vengono scaricati sullo Stato (cioè sulla collettività). E il ciclo si ripete: servizi e diritti diventano progressivamente merce (per cui può beneficiarne solo chi può pagarseli), le disuguaglianze aumentano, l’autoritarismo politico cresce. Dalle privatizzazioni, dunque, c’è chi ci guadagna (pochi) e chi ci rimette (la maggioranza della popolazione); chi acquista (il privato) ottiene condizioni più convenienti rispetto a chi vende (lo Stato cioè il pubblico cioè i cittadini); più si svendono servizi pubblici e pezzi di welfare più nel paese aumentano le disuguaglianze. Negli USA, ad esempio, la privatizzazione del sistema sanitario ha raddoppiato i costi per gli utenti ed ha escluso una significativa fetta della popolazione dalla copertura sanitaria. Negli ex-paesi del socialismo reale, con il passaggio al capitalismo reale le privatizzazioni si sono tradotte in svendite di beni comuni a vantaggio di pochi privati, aumentando a dismisura le disuguaglianze. Nei paesi dell’America Latina … privatizzazioni ed espropriazioni, com’è noto, hanno accompagnato l’istaurarsi di feroci dittature fasciste e provocato drammatiche crisi. E in Europa? Nel 2012 il Portogallo ha privatizzato aeroporti, compagnia aerea nazionale, televisione pubblica e cantieri navali; la Spagna porti, aeroporti, rete di treni ad alta velocità (una delle migliori e più moderne d’Europa), sanità, gestione delle risorse idriche; in Grecia, la condizione per continuare a ricevere ‘aiuti’ europei è quella di accelerare il processo di privatizzazione di beni e servizi finora erogati dallo Stato (da cui il drammatico appello del popolo greco: «non aiutateci più!»). Per l’Italia, ‘dismissione del patrimonio pubblico/riduzione della spesa pubblica’ è stato lo slogan più ripetuto a destra a e sinistra in quest’ultima competizione elettorale. Sarebbe opportuno aprire un serio confronto per capire se e in quali settori nuovi tagli ed ulteriori privatizzazioni andrebbero applicate. Su sanità, assistenza, servizi alla persona, pensioni, istruzione, ricerca, servizi pubblici e welfare – nazionale e locale – la nostra posizione è chiara: no grazie, abbiamo già dato.

Edoardo Puglielli

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