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28 mag 2014

La cronaca di...Simone Bianchi

Dopo Italia(1934-1990), Francia(1938-1998), Messico(1970-1986) e Germania(1974-2006), il Brasile è il V° Paese ad ospitare il mondiale per la seconda volta e, tra problemi di ordine pubblico e organizzativi, ci avviciniamo sempre di più a quel 12 giugno , data che segnerà l’inizio della competizione.
Perché, i media e la stampa brasiliani, non hanno dedicato tempo e spazio al ricordo della precedente edizione svoltasi proprio in Brasile nel 1950?
Detto fatto, semplicemente perché il 16 luglio 1950(giorno della finale) rappresenta LA pagina nera per eccellenza della storia carioca, ma andiamo con ordine.
In quella che fu la prima competizione calcistica mondiale dal dopoguerra, vediamo la partecipazione di sole 13 squadre, questo perché molti Paesi, si trovavano, nella difficile situazione di guarire le ferite del conflitto mondiale.

Curioso è il caso dell’India, squalificata poco prima del torneo. La rosa indiana, guidata dal capitano Rajan e dal centravanti Rohan, disponeva di una buona formazione, ma il regolamento vietava di giocare a piedi nudi, come erano soliti fare gli atleti indiani, dato che, nelle gare di qualificazione, gli indiani avevano finito le partite con i piedi sanguinanti a causa dei contrasti.
La Scozia, classificatasi seconda nel girone di qualificazione britannico, avrebbe avuto diritto di partecipare al torneo, ma, si tirò indietro, mantenendo fede alla parola data preventivamente, avendo gli scozzesi dichiarato, che avrebbero preso parte al mondiale solo nel caso in cui si fossero classificati primi nel loro girone di qualificazione.
 Anche la Turchia diede forfait.
Tutte queste esclusioni videro approdare solo 13 squadre nella terra toda joia toda beleza, nell’ordine: Bolivia, Brasile, Cile, Inghilterra, Italia, Jugoslavia, Messico, Paraguay, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera ed Uruguay.
Le squadre furono divise in quattro gironi: due da quattro, uno da tre e un mini-girone da due. La formula prevedeva che le prime classificate accedessero al girone finale da cui sarebbe uscita la squadra campione del mondo.

Nel girone number one il Brasile effettuò la così detta “passeggiata di piacere” rispettivamente sulla Jugoslavia, sulla Svizzera e sul Messico, piazzandosi prima con cinque punti frutto di due vittorie (4-0 sul Messico e 2-0 sulla Jugoslavia) ed un pareggio per 2-2 sugli elvetici.
Nel girone number two sorpresona Spagna che, grazie alle vittorie su Inghilterra (1-0), Cile (2-0) e Stati Uniti (3-1) portò a casa sei punti e si classificò prima davanti ai favoritissimi inglesi.
Shocking Moment del girone è senza ombra di dubbio la vittoria dei cugini americani per 1-0 sui Maestri inglesi. Molti tifosi british, leggendo i quotidiani l’indomani, immaginarono un errore di stampa, non volendo credere alla sconfitta, tant’è che in molti ritengono questo avvenimento come uno dei più scioccanti della storia dello sport anglosassone.
Nel girone number three si assiste a un primo assaggio del famoso dolce amaro, il “biscotto scandinavo”, poco gradito ai palati italiani, all’esordio infatti i nostri azzurri persero per 3-2 contro la Svezia e, a nulla servì, la vittoria sui paraguaiani per 2-0, dato che proprio Svezia e Paraguay si erano annullate in un pareggio per 2-2.
Al girone finale andò la Svezia, ma, non tutti i mali vengono per nuocere, ben 8 giocatori dell’undici titolare svedese furono acquistati da squadre italiane. In primis colui che, con una doppietta, ci ha eliminati dalla competizione, Hasse Jeppson, divenuto famoso per il suo trasferimento al Napoli per la cifra record di 105 milioni, n barba ai vari Bale, Ronaldo e Zidane, tanto che in una partita un simpatico telecronista partenopeo, Esposito, alla vista di uno Jeppson caduto a terra dopo uno scontro di gioco, esclamò “è cadut o banc e Napol”.
Oltre a Jeppson ci furono gli acquisti di Nacka Skoglund (all’Inter), Gaerd alla Sampdoria, Palmer al Legnano, Nilsson al Genoa, Andersson (autore del terzo gol), il fratello di Gunnar Nordhal e Sundkvist alla Roma.
Ma, apriamo una parentesi, il cammino della spedizione azzurra in Brasile assunse un tono che è un misto di comicità e drammaticità. La nazionale italiana scelse di arrivare in terra carioca via nave, ancora scossa dalla tragedia di Superga, con il risultato che tutti i palloni usati negli allenamenti finirono in mare prima dell’arrivo.
Boniperti addirittura raccontò di partite a ping-pong, pallavolo e gioco della piastrella pur di combattere ore di noia mortale, inframezzate talvolta dai siparietti comici del trio Lorenzi-Remondini-Cappello.
Il risultato fu l’arrivo di una nazionale, già priva dell’ossatura del grande Torino, a San Paolo in condizioni fisiche pessime e fuori allenamento, tanto da far durare la permanenza in Brasile solo otto giorni.
Per il ritorno si scelse, saggiamente, la via aerea ma Lorenzetti, di nuovo in un misto di paura e comicità, salì su una nave, come raccontò il “fornaretto” Amadei, che fece sosta in Francia, facendolo ritornare sul suolo italiano solo un mese più tardi giusto in tempo per aggregarsi al ritiro estivo della sua squadra.
Nell’ultimo “girone” l’Uruguay si impose per 8-0 sulla Bolivia.
All’atto finale erano quindi presenti Brasile, Spagna, Svezia ed Uruguay. La partita finale vedeva contrapposti Brasile e Uruguay rispettivamente a 4 e 3 punti.
I brasiliani, dopo il vantaggio iniziale con Fraiça, immaginavano già le feste di celebrazione, loro che si credevano campioni del mondo per diritto divino, loro che con la tipica presunzione non badavano agli avversari (rewind del 1938 e antipasto del 1982), loro che aspettavano il fischio finale per mandare in scena un carnevale fuori stagione con carri, ballerine, musica, samba e caipirinha a volontà.
D’altro canto come dargli torto, avevano un attacco atomico: Fraiça, Zizinho, Ademir, Jair e Chico.
Tuttavia avevano sottovalutato un importantissimo fattore riassunto brevemente in questa riga: “puoi alzarti molto presto ma il destino si è alzato un’ora prima”
Così, il capitano uruguagio, Abdulio Varela, prende la palla e va lemme lemme verso il centrocampo, smorzando l’entusiasmo carioca e, al contempo, dando carica ai suoi compagni di squadre che, consumano letteralmente i poveri biancoblù con i gol di Schaffino al 58 e Ghiggia al 61.
Al fischio finale il Maracanà si spegne come un fuoco che incontra una massa d’acqua troppo grande, si odono solo le sirene delle ambulanze che cercano di recare soccorso ai tanti brasiliani che addirittura si tolsero la vita dopo l’onta di un umiliazione così grande e così amara.

Venne indetto il lutto nazionale, il dramma fu così forte da coinvolgere persino quell’Obdulio Varela che vagò tra i bar e le strade di Rio a consolare la gente, arrivando ad affermare che, se avesse potuto rigiocare quella partita, si sarebbe infilato in porta due autogol pur di cancellare il dolore dalle facce di quelle persone che noi tutti siamo abituati a vedere sorridenti e festanti.
Quella sconfitta segnò così profondamente i carioca che le divise della seleçao allora biancoblù, furono cambiate in quelle verdeoro attuali lasciando i soli calzettoni come monito, più che ricordo, del fantasma uruguaiano.

Si sa che, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, tanto che in quegli anni vi fu la definitiva esplosione di Edson Arantes Do Nascimento, al secolo Pelè, il resto, più che calcio, è storia.

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