LIBERI DI DECIDERE FINO ALL’UTIMO RESPIRO
Un tema che incide profondamente sui diritti umani è: in che misura è consentito l’<<accanimento terapeutico>> nei confronti di chi non è in grado di dare il proprio consenso al proseguimento delle cure? Per rispondere a questo interrogativo, da molto tempo si discute del testamento biologico, cioè di una formale dichiarazione anticipata di volontà della singola persona, riconosciuta per legge, circa il trattamento sanitario cui vuole o non vuole essere sottoposto nel caso in cui si trovasse in condizione di non poter manifestare una volontà libera e consapevole.
I problemi per attuare il testamento biologico sono, da una parte la carenza di una disciplina legislativa e dall’altra l’opposizione da parte di una corrente di pensiero di ispirazione cristiana di forte difesa della vita(anche se c’è una parte del mondo cristiano che sta mostrando un favor a riguardo). Questi due scogli sono contigui tra di loro poiché si influenzano a vicenda; mi spiego meglio. Se in Italia ancora non c’è una legislazione specifica sul testamento biologico è perché tutti gli schieramenti politici sono costretti a strumentalizzare le loro decisioni per prendere una fetta del “quarto potere” dello Stato, cioè quello cristiano. In tutta la sua storia il nostro paese, a differenza di quelli europei, non è riuscita a compiere un passo avanti su importanti diritti umani, a causa del freno a mano ecclesiastico.
Per questo i nostri nuovi governanti, devono imporsi come ordinamento autonomo e indipendente nei confronti della Santa Chiesa, cioè devono trasformare il principio dell’art.7 della costituzione in sostanza concreta, in modo che lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. Anche l’art. 32 della Cost. è compatibile con l’istituto del testamento biologico, affermando <<nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti nel rispetto della persona umana>>. Dopo aver letto la disposizione costituzionale ci si pone questa domanda: l’idratazione e l’alimentazione artificiali, pur costituendo un trattamento sanitario, costituiscono, in sé, una forma di accanimento terapeutico e di svilimento del rispetto della persona umana? La risposta è soggettiva, però se la si vuole portare verso un’ottica sommariamente oggettiva, si dovrebbe constatare che quando un individuo non è in grado di affrontare psicologicamente un percorso di tipo vegetativo, per mancanza di forze o qualsiasi altra cosa, ciò sarebbe una costrizione della libertà alla vita e alla privacy del soggetto interessato. Questo vuoto normativo comporta molti problemi, perché nel momento in cui il paziente non abbia manifestato(non può in mancanza di una legge) alcuna volontà documentata ci si chiede cosa fare.
Su questo punto, in Italia, una sentenza della Corte di Cassazione del 2007, riferita ad Eluana Englaro in stato vegetativo da quindici anni, ha deciso che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione del trattamento sanitario in presenza di due circostanze tra loro interdipendenti e cioè: 1) che la condizione di stato vegetativo del paziente sia irreversibile, senza alcuna possibilità di recuperò della coscienza e delle capacità di percezione; 2) che sia accertato in modo univoco, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, della personalità e dei convincimenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento.
La sentenza Englaro è stata molto importante perché ha agevolato il cammino verso una legalizzazione dell’istituto. Infatti, la prima volta che, in Italia, si è assistito a un tentativo riuscito di “legalizzazione” del testamento biologico è stata presso il Tribunale di Modena il 5 novembre del 2008. In quell’occasione il Tribunale decretò la nomina di un “amministratore di sostegno” in favore di un soggetto qualora questo, in futuro, si fosse trovato nelle condizioni di non potere esprimere la propria volontà. L’amministratore, viene investito del compito di esprimere i consensi necessari ai trattamenti medici: in questo modo si attuano gli effetti del testamento biologico pur senza che esso venga veramente scritto e, soprattutto, senza una legge che ne regoli appositamente l’uso.
L’Italia come vediamo è ancora un paese “arcaico” sui diritti umani e, purtroppo, deve sempre invidiare qualcosa alle altre nazioni europee, poichè il testamento biologico è previsto nei Paesi Bassi, in Svizzera, in Germania, in Inghilterra, in Galles e nella maggior parte degli stati degli Stati Uniti. L’arretratezza italiana è voluta e anche dovuta dalle istituzioni italiane poiché è stata ratificata la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (nel 1997): tale Convenzione stabilisce che deve essere tenuta in considerazione la volontà espressa dal paziente precedentemente se, al momento dell’intervento medico, lo stesso non è in grado di esprimersi.
Quindi il testamento biologico sarebbe da considerarsi valido.
E’ pure vero, però, che lo strumento di ratifica non è stato ancora depositato alla Segreteria Generale del Consiglio d’Europa: di conseguenza, attualmente l’Italia non fa parte della Convenzione di Oviedo. La leggerezza e la noncuranza della nostra classe dirigente non desta scalpore, perché se in un momento così delicato, non riesce a dare un governo al paese, figuriamoci se riuscisse a dare una risposta alla vita in sé.
Marco Alberico
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