LA RICERCA DELLA FELICITA’
Felice: felix, felicis. Chi ha o crede di avere tutto ciò che si può desiderare ed è pienamente soddisfatto.
“La felicità esiste, non perché se ne possiede il concetto, ma perché talvolta ne sperimentiamo la condizione. Una volta vissuta non può essere dimenticata”(Galimberti).
Se ci immergessimo nel “pessimismo” Pascaliano l’uomo, come un “roi déchu”, essendo creato in un mondo infinito, non potrebbe mai raggiungere l’appagamento totale in un mondo finito.
Ma noi siamo ottimisti, ci piace esserlo.
Abbiamo l’idea di felicità perché, come spiega Galimberti, l’abbiamo assaporata, l’abbiamo “toccata” con mano, ma pur avendola percepita resta difficile definirla. Non abbiamo teoremi, formule, leggi o equazioni che la spieghino, ne scienze che se ne occupino a pieno; viviamo con la consapevolezza di poterla raggiungere e siamo altrettanto consapevoli che l’unica via da attraversare è la rovina.
“Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della loro felicità”(Ugo Foscolo, Ultime Lettere di Jacopo Ortis).
In una società materialista e consumistica ricerchiamo felicità negli oggetti, nelle ricchezze, nelle proprietà.
Ci affanniamo e lottiamo per aver cose che se ci fossero offerte non accetteremmo nemmeno.
“La mentalità tecnologico-prassistica ha identificato la felicità con il benessere materiale […] l’uomo, dopo averlo oramai largamente sperimentato, ha scoperto che non produce quella “felicità” che ci si attendeva […] oggi l’uomo si sente più che mai insoddisfatto […] l’abbondanza dei beni materiali, anziché riempirlo, lo ha spiritualmente svuotato”(G. Reale)
Con un titolo di cinque parole, “L’infelicità di avere tutto”, Reale spiega cosa è accaduto all’uomo. L’uomo che si sente così ricco, così pieno di lussi da scadere paradossalmente nel vuoto interiore.
“Ci sono persone così povere che l’unica cosa che hanno sono i soldi”
Freud, in tono profetico, ci aveva già avvertito. Nel “Disagio della civiltà” ci spiegava il difficile rapporto tra civiltà e felicità, il loro andamento parallelo e il loro paradossale rapporto di proporzionalità inversa. “Il prezzo del progresso si paga con la riduzione della felicità” Quando si dice: si stava meglio quando si stava peggio.
Fortemente critico sul materialismo è anche il filosofo Natali che evidenzia il connubio ricchezza materiale-povertà interiore etichettando gli uomini come “ricchi e soli” e spiegando come per lui la felicità sia “uno stare al mondo sentendosi sempre “situati” […] la felicità non è avere cose: la felicità è una relazione, è un conoscere il mondo […] non si può essere felici da soli”
Se non possiamo definirla e ci è difficile raggiungerla sappiamo come avvicinarla.
Jon Krauker nel suo libro “Nelle terre emerse”, romanzo da cui verrà fuori il celebre “Into the Wild”, spiegava come “la felicità non è tale se non è condivisa”
Contribuire al bene collettivo, relazionarsi positivamente con gli altri evitano di farci diventare isole felici attorniate da un mare di infelicità che finirebbe per risucchiarci.
Il concetto di condivisione, che ci riporta ai valori dell’humanitas cantati da Terenzio e di cui si farà portavoce John Donne con il suo “Per chi suona la campana”, dovrebbe essere il punto di partenza per il raggiungimento della felicità. “Nessun uomo è un’isola […]. Non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te”.
Aiutarsi, amarsi, relazionarsi, conoscere ed essere conosciuti. Se ci fosse un “How to…” sulla felicità dovrebbe contenere tutti questi verbi.
Non attacchiamoci alle frivolezze, ai beni, ai lussi; sono“questioni di qualità o una formalità” si domandavano i CCCP.
“Enivrez-vous sans cesse!” ci invitava Baudelaire.
Ubriachiamoci di vita, non lottiamo per le banalità. Lottiamo per la felicità, non ne usciremo sconfitti.
Hank
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