Fino a qualche anno fa,
prima che l’abolizione delle province diventasse una sorta di panacea dei mali
italiani, qualcuno non solo auspicava che Sulmona diventasse capoluogo, ma
addirittura presentava la richiesta perché lo diventasse davvero. Il senatore Rotondi,
campano, aveva presentato nel 2007 la proposta perché venisse istituita la
provincia di Sulmona (e, a dire il vero, anche quella di Avezzano e quella dei
Marsi, dimostrando con questo anche un po’ di confusione). Avevano anticipato
la proposta di Rotondi il senatore Battisti della Margherita nel 2002, e i
deputati Saia, Saraceni e Aracu nel 2001, con un’azione trasversale
sinistra-destra. Nel 1987 ci aveva provato anche il senatore Salerno, lucano in
quota DC.
Dalle motivazioni addotte
per l’istituzione della provincia di Sulmona si possono trarre degli spunti
interessanti. Nel 2002, nel disegno di legge del senatore Battisti, si parlava
di necessità di costituire la provincia “per rispondere ad un criterio di
vicinanza dell’istituzione provinciale ai cittadini” e per migliorare
l’efficienza della stessa.
La lontananza di Sulmona e della Valle Peligna dal
capoluogo, quindi, ma anche la specificità di un territorio, quello peligno,
ricco di interessi economici locali da valorizzare in modo da farne un “centro
turistico di forte attrazione”. Impianti sciistici, parchi e tradizioni locali,
antiche o rinnovate. Già nel 2002, è quanto emerge nel ddl di Battisti, quello
di Sulmona viene visto come un territorio espropriato da presidi della Pubblica
Amministrazione, e si paventa la soppressione del Tribunale di Sulmona
“nonostante la Commissione antimafia [avesse] identificato nell’area di Sulmona
un rischio alto di penetrazione della malavita organizzata”.
Ma poi, quell’idea di fare
della Valle Peligna un centro di attrazione turistica di qualità e di sfruttare
l’artigianato locale, ad esempio, come valorizzazione culturale dell’intero
territorio non è nemmeno così recente. Tale sensibilità emerge anche nel
disegno di legge Salerno del 1987, dove, ovviamente si fa riferimento alla
particolare conformazione della provincia dell’Aquila, circa tre volte più
grande della media delle province italiane e con un capoluogo praticamente
all’estremità settentrionale della stessa.
Ma da allora cosa è
cambiato? I cosiddetti presidi amministrativi hanno continuato a scomparire. Le
caserme non esistono più nella loro funzione ordinaria e non si vede ancora
come possano essere riconvertite a luoghi di pubblica utilità. Abbiamo temuto
di perdere il presidio ospedaliero e almeno per qualche anno ancora manterremo
il Tribunale. Il distretto industriale che circa 25 anni fa era uno dei più
attivi della regione, in un articolo del giornalista Antonio Galdo di pochi
anni fa viene descritto nel momento della sua morte.
Lontanissima dai fasti
dell’epoca sveva, disillusa dalle possibilità presentatesi in passato e non
concretizzatesi, Sulmona sembra avere in una mano la ricetta per una sua
rinascita e nell’altra un futuro di spopolamento che tanto assomiglia a quello
dei paesi di montagna negli anni del dopoguerra. Insieme ai capitali economici
sembra orientato all’emigrazione anche il capitale umano in grado non solo di
rimettere in moto la città e l’intero territorio, ma anche di custodire un
patrimonio storico-culturale tanto ricco da fare invidia a chiunque.
Francesco Angelone
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