Sabato
22 Febbraio 2014, nonostante la mia lunga permanenza in una delle capitali del
rugby italico, L'Aquila, per la prima volta ho assistito ad una partita dello
sport per omaccioni dall'animo nobile.
Per
uno come me, che ricorda ancora un accoltellamento ad una natica di un tifoso,
reo solo di tifare la squadra sbagliata, nei corridoi che conducono all'uscita
della tribuna Monte Mario (biglietto 80/90 euro), allo Stadio Olimpico di Roma.
Per uno come me, che si spostò in tempo dalla carica dei tifosi del Pescara che
assalirono una macchina di tifosi della Salernitana, che accidentalmente si
ritrovarono nei pressi della curva nord dell'Adriatico. Per uno come me, che si
è ritrovato fra le diatribe interne della tifoseria del Giulianova. Per uno
come me, che è uscito scortato dai carabinieri dallo stadio di Sant'Omero e che
poi, nella partita di ritorno a Pratola, ha ruggito parole di rabbia, quando il
comandante dei carabinieri ha condotto fuori dall'Ezio Ricci, il più acceso dei
sostenitori avversari.
Beh, per uno come me, la voglia di inebriarsi dello spirito del gioco più sportivo di tutti, era giunta ad una condizione di irrefrenabilità.
Beh, per uno come me, la voglia di inebriarsi dello spirito del gioco più sportivo di tutti, era giunta ad una condizione di irrefrenabilità.
E
dove scelgo di espiare le mie colpe di tifoso di calcio? Ad una partita del 6
Nazioni. Senza giri di parole, è come convertirsi all'Islam e andare subito in
pellegrinaggio alla Mecca. In maniera inaspettata, la voglia è stata appagata
subito dopo l'entrata nello stadio. È stata appagata perché, al di là dello
spirito dei giocatori in campo, fatto di estremo rispetto e sano mascolino
agonismo, oltre che dell'umanità (non in senso fisico, visto che si parla di
ammassi di muscoli che corrono da una parte all'altra del campo, con relativa
facilità) riconosciuta agli avversari e all'arbitro, sono state le sensazioni
regalatemi dagli oltre 70.000 spettatori a darmi soddisfazione.
È
stata un'unica grande festa: tifosi italiani e scozzesi seduti negli stessi
settori dello stadio, con tricolori e kilt fianco a fianco; una banda che
intonava classici motivi della tradizione italiana, a cui rispondeva lo
stridulo suono delle cornamuse; birra che scorreva a fiumi, nonostante i prezzi
proibitivi; e birra che suggellava un'amicizia che sembrava essere sempre
esistita fra tifosi scozzesi, da parte loro felici solo della festa e ai quali
il risultato poco importava e tifosi italiani di tutte le età, che non si
facevano sfuggire l'occasione di una foto con un uomo in gonna; il giro di campo
finale delle due nazionali (per la cronaca ha vinto la Scozia per un solo punto,
grazie ad un preciso drop messo a segno a 30 secondi dal termine) e l'onore
dell'applauso riservato sia ai vincitori che ai vinti. Onore che meritano tutti
perché al di là del risultato, lì in mezzo nessuno ha evitato di lasciarci
sudore ed immense energie, se non forse, anche sangue. E infine, il rito più
rito di tutti nel rugby: il terzo tempo a fine partita. Un'immensa festa, in
cui due popoli celebrano la loro nobile e leale rivalità, consumata solo sul
campo e che avrà la sua sacrosanta rivincita solo dopo un anno. Non c'è tempo
per risse e tafferugli, ma solo per qualche, anzi tante, birre. Bevute tutti
insieme, non fa niente se le culture e le lingue sono diverse. Si scherza tutti
insieme, fra sorrisi, strette di mano e abbracci.
Quella
tensione, che inevitabilmente sento prima di ogni partita dello sport che più
amo, il calcio, quel pomeriggio non l'ho sentita. Certo alcuni Italiani si sono
abbandonati a fischi e a insulti, sicuramente c’è ancora tanto da imparare da
popoli, per il quali lo sport è epica e non polemica, ma Sabato 22 Febbraio
2014, posso dire che ho finalmente capito cosa sia lo spirito sportivo.
Piergiuseppe Liberatore
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