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22 gen 2013

Musica


Le Cover Band che uccidono la cultura!

Nei primi anni 20 l'industria musicale iniziava a percorrere i primi passi in un mondo molto diverso dall’attuale; la storia è ben nota a tutti e la “cultura musicale” era aperta a una ristretta cerchia di persone più o meno facoltose che ne manipolavano la diffusione, un club esclusivo per gente interessata quasi totalmente alla musica classica dei grandi maestri compositori del passato che sceglievano a proprio gusto (censure politiche a parte) quello che doveva o non doveva essere ascoltato. In questo caso si verificava che l'ascoltatore era molto più appassionato al pezzo e molto meno al musicista e i primi colossi dell'industria discografica  premevano per avere determinate canzoni piuttosto che determinati artisti. Insomma, le innovazioni non importavano a nessuno e gli interpreti (attuali cover band nel nostro caso) dettavano legge appoggiati da un mercato musicale fermo da tantissimi anni.  Una decina di anni dopo con la diffusione della musica in radio le cose cambiano e il cantante/autore assume una propria identità e fama, tutti possono ascoltare musica (o quasi, sempre radio permettendo) e la voglia  di far conoscere canzoni proprie prende il sopravvento sulla staticità delle interpretazioni. Una svolta culturale importantissima.  Nel 2013 internet permette alla musica di arrivare a chiunque e ad ogni artista più o meno noto di esprimere la propria arte bella o brutta che sia e di dare voce alla propria abilità compositiva. Cosa c'è di più bello per un artista se non creare per firmare le proprie produzioni? Arriviamo subito al succo del discorso, musicalmente parlando ovviamente, molta pigrizia porta scarsa voglia di esprimersi e quindi molto stallo culturale, quindi molta ignoranza. Si verifica che in certe zone geografiche ben definite il prolificare di cover band raggiunge proporzioni disarmanti e un educazione alla musica "nuova" praticamente azzerata, si potrebbe paragonare anche con l’andamento economico ma il discorso diventerebbe troppo lungo. La nostra Valle Peligna, ma anche la nostra regione soffre di questa brutta malattia in maniera quasi irreversibile, non esistono locali disposti ad accogliere band “originali” e tutte le poche manifestazioni sono indirizzate e monopolizzate da insoddisfacenti e piattissime associazioni favorevoli sia per facilità di realizzazione che di riuscita dell’evento all’estenuante esibizione di cover band. Riproduzioni scellerate dell'originale; sicuramente vi sarà capitato di vedere tribute band composte da quindicenni convinti di aver vissuto Woodstock senza la minima idea sociologica e culturale di quel periodo, una sorta di adagiarsi sugli allori; la paura di mettersi in gioco è talmente forte da creare arte contraffatta, regna l’insoddisfazione musicale e coverizzare qualcosa di noto e ultra conosciuto crea quella piccola voglia di riscatto. A volte entrano talmente nella parte da sembrare quasi gli autori delle loro esibizioni. Troverai sempre qualcuno che viene per ascoltare pezzi dei Deep Purple, il problema è che quella gente non è venuta per te, fotocopiatrice molto difettosa e arrogante, è venuta per ascoltare l’ovvietà mettendo a tacere la voglia di curiosità. La lacrimuccia scende amara e non per loro ma per quelli che vogliono vivere la musica in maniera vera, sincera, originale. I locali non rischiano e di questi tempi come dargli torto, la musica perde valore e la cultura regredisce in maniera vertiginosa in confronto ad altre realtà italiane ma soprattutto europee dove la musica suona completamente diversa. I nostri giovani nascono già vecchi o invecchiano precocemente senza stimolo e senza voglia di mettersi in gioco esprimendo quello che portano dentro? Pensiamo a un colpo di coda decisivo, bisognerebbe soltanto cercare di non rimanere catalogati ad ascoltare tutto quello che vogliono farci ascoltare, bisognerebbe soltanto attivare la nostra curiosità e la maggior parte del gioco è fatto. Per ogni cover band che suona un musicista nel mondo perde coraggio e voglia di confrontarsi con queste realtà desolanti e profondamente tristi.

Riccardo Merolli



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