Quale futuro per noi giovani della Valle
Nell’ultimo
mese i giovani residenti nella Valle Peligna hanno lanciato dei segnali forti,
dimostrando quanta voglia abbiano di lottare per questo territorio e mettendosi
in gioco quotidianamente con iniziative sociali. Evento emblematico è stata la
partecipazione alla manifestazione per la difesa del tribunale nella quale i
giovani sono stati in prima linea per difendere un presidio importantissimo per
l’economia e per il tessuto sociale locale. In questa manifestazione c’è stata
una forte coesione tra le componenti sociali, cosa che non è avvenuta in
passato nella valle, dove si sono registrate forti divisioni sia tra i comuni per
un campanilismo spiccato sia tra le varie parti sociali.
Questa
mancanza di coesione territoriale ha portato ad una maggiore vulnerabilità
rispetto ad altri territori maggiormente uniti. Pian piano è iniziata la
smobilitazione di vari settori, una crisi che si trascina dalla fine degli anni
’80 e che, oggi, è accentuata dalla crisi nazionale e globale. Facendo un
“excursus” vediamo che il lento declino della valle ha avuto inizio negli anni
’80 con la chiusura dell’ACE (Adriatica Componenti Elettronici) che trasferì la
sua produzione altrove; la seguirono la Finmek, la Lastra, la Beta Utensili, la
Campari (ora per fortuna riaperta ad organico ridotto), la Sitindustrie, la
Saba, la FoCeIt, la Cosmo. Non solo le industrie, ma anche concessionari di
auto e supermercati contribuirono a far diventare la zona industriale un
“cimitero”. Alle chiusure dei privati sono seguite quelle statali con i presidi
militari in Valle Peligna (l’unico rimasto è il deposito di San Cosimo, di
dubbia sicurezza e nel quale non si sa cosa ci sia), con la richiesta di
chiusura del tribunale e i tagli all’ospedale.
Queste
chiusure hanno portato un conseguente aumento della disoccupazione giovanile.
Le generazioni di cinquanta anni fa avevano la sensazione del benessere
generale che si respirava nella valle, si sentivano protagonisti dell’economia
Peligna che era agli albori dello sviluppo raggiunto poi negli anni ’70 e ’80
in maniera progressiva.
Veniva a
svilupparsi tutto il tessuto sociale: dall’operaio fino
all’ingegnere-caporeparto di fabbrica, nel settore sanitario, nel settore dei
servizi. C’era consapevolezza che la città di Sulmona avrebbe garantito il
futuro non solo ai propri cittadini ma anche a tutti i paesi del comprensorio. La
generazione attuale invece non assiste più ad uno sviluppo progressivo
dell’economia locale, ma vede solo imprese che hanno difficoltà ad andare
avanti, coetanei che tentano di aprire un’attività ma vengono stritolati dagli
elevati costi iniziali e dalla burocrazia. Soprattutto c’è la consapevolezza di
doversi allontanare forse per sempre da questo territorio, non solo per gli
studi. Siamo la generazione dell’incertezza, con tanti sogni nel cassetto, ma
consapevoli delle difficoltà necessarie a realizzarli.
Spesso viene
a mancare la guida per questi giovani incerti, con una classe politica che vede
il nostro futuro come una “pattumiera” in cui gettare i problemi quotidiani ed
ha lo sguardo rivolto a poppa e non a prua.
Osserviamo un
territorio che, dopo il periodo aureo tra gli anni ’60 e ’90, non riesce a
darsi una vocazione, turistica o culturale; grandi passi sono stati fatti con
l’istituzione nel Polo Scientifico Tecnologico di un indirizzo turistico con la
possibilità di grande impiego in questo settore. Altra possibilità di ripresa
potrebbe essere quella dell’edilizia dove, utilizzando i fondi europei, si
potrebbe attuare la messa in sicurezza di tutti gli edifici non a norma (dato
che siamo in un territorio ad alto rischio sismico), ma si potrebbe adeguare
anche il territorio alle recenti norme sull’abbattimento delle barriere
architettoniche, facendo lavorare imprese locali con l’ausilio di giovani
ingegneri e geometri. Si potrebbero attrarre investimenti da parte
dell’industria adeguando la rete di infrastrutture sia per quanto riguarda i trasporti
sia per quanto riguarda l’informatizzazione dei servizi.
Questi sono
solo “imput” che naturalmente devono essere dibattuti ed approfonditi.
Alessandro,
Mario, Luca, Chiara, Gregory, Vincenzo, Andrea, Sara, Maria, Daniele, Simona e
tanti altri giovani sono andati via da questo territorio per il loro percorso
di studi com’è giusto che sia per incrementare il proprio bagaglio d’esperienza
ma il territorio è in grado di ri-accoglierli sfruttando le loro capacità,
qualora loro vogliano tornare qui domani ma anche tra 10, 20, 30 anni?
Deve essere
data la possibilità alle generazioni future di restare qui qualora lo vogliano
e a chi studia fuori di poter tornare nel proprio luogo di nascita.
Se si investe
sui giovani, questo territorio può svegliarsi dal proprio sonno. Le nuove
generazioni sono pieni di idee e iniziative, ma in questa valle vengono visti
troppo spesso come un problema e non come una risorsa.
Andrea
Ramunno
Nessun commento :
Posta un commento